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In termini di sovranità interdipendente, ciò significa che in un mondo sempre più globalizzato, lo Stato nazionale può avere difficoltà a controllare tutti gli aspetti della sua economia e della sua società, poiché è sempre più influenzato da forze esterne, come i flussi di capitali, beni, servizi e informazioni. Ciò può limitare la sua capacità di perseguire politiche pubbliche indipendenti e di rispondere alle preferenze dei suoi cittadini, il che a sua volta può avere un impatto sulla legittimità e sulla stabilità dello Stato.
In termini di sovranità interdipendente, ciò significa che in un mondo sempre più globalizzato, lo Stato nazionale può avere difficoltà a controllare tutti gli aspetti della sua economia e della sua società, poiché è sempre più influenzato da forze esterne, come i flussi di capitali, beni, servizi e informazioni. Ciò può limitare la sua capacità di perseguire politiche pubbliche indipendenti e di rispondere alle preferenze dei suoi cittadini, il che a sua volta può avere un impatto sulla legittimità e sulla stabilità dello Stato.


= L'impact de la Mondialisation =
= L'impatto della globalizzazione =


== Che cos'è la globalizzazione? ==
== Che cos'è la globalizzazione? ==

Version du 25 juin 2023 à 13:17

La pensée sociale d'Émile Durkheim et Pierre BourdieuAux origines de la chute de la République de WeimarLa pensée sociale de Max Weber et Vilfredo ParetoLa notion de « concept » en sciences-socialesHistoire de la discipline de la science politique : théories et conceptionsMarxisme et StructuralismeFonctionnalisme et SystémismeInteractionnisme et ConstructivismeLes théories de l’anthropologie politiqueLe débat des trois I : intérêts, institutions et idéesLa théorie du choix rationnel et l'analyse des intérêts en science politiqueApproche analytique des institutions en science politiqueL'étude des idées et idéologies dans la science politiqueLes théories de la guerre en science politiqueLa Guerre : conceptions et évolutionsLa raison d’ÉtatÉtat, souveraineté, mondialisation, gouvernance multiniveauxLes théories de la violence en science politiqueWelfare State et biopouvoirAnalyse des régimes démocratiques et des processus de démocratisationSystèmes Électoraux : Mécanismes, Enjeux et ConséquencesLe système de gouvernement des démocratiesMorphologie des contestationsL’action dans la théorie politiqueIntroduction à la politique suisseIntroduction au comportement politiqueAnalyse des Politiques Publiques : définition et cycle d'une politique publiqueAnalyse des Politiques Publiques : mise à l'agenda et formulationAnalyse des Politiques Publiques : mise en œuvre et évaluationIntroduction à la sous-discipline des relations internationales

Lo Stato moderno è un concetto centrale della scienza politica. Si riferisce a un'entità territoriale che esercita un'autorità sovrana e il cui governo ha il potere di fare e applicare le leggi, amministrare la giustizia e controllare le risorse. Questa entità è caratterizzata dalla sua legittimità, dalla sua sovranità, dal suo territorio delimitato e dal suo popolo.

Come disciplina, la scienza politica si dedica allo studio dello Stato moderno, delle sue istituzioni e dei processi che danno forma alle politiche pubbliche. Esamina anche le strutture di potere, le ideologie, la politica internazionale e le varie forme di governance. Lo Stato moderno svolge un ruolo essenziale nella definizione dell'identità politica di un Paese. È l'entità che organizza e definisce la vita politica, sociale ed economica di una nazione. Lo Stato moderno è anche responsabile della tutela dei diritti umani e della giustizia sociale. Il concetto di Stato moderno si è evoluto nel tempo. Oggi è spesso associato a concetti quali lo Stato sociale, che suggerisce che lo Stato ha la responsabilità del benessere sociale ed economico dei suoi cittadini. Inoltre, con la globalizzazione e le sfide contemporanee come il cambiamento climatico e la sicurezza informatica, il ruolo e la natura dello Stato moderno sono in continua evoluzione. Analizzando queste trasformazioni e studiando i diversi modelli di Stato nel mondo, la scienza politica svolge un ruolo cruciale nella comprensione dello Stato moderno.

Lo Stato può essere compreso e analizzato da una serie di angolazioni, che mettono in luce diverse sfaccettature del suo funzionamento.

  1. Lo Stato come insieme di norme - teorie politiche normative: da questa prospettiva, lo Stato è visto come un insieme di principi, regole e norme che governano il suo funzionamento e il modo in cui i suoi cittadini dovrebbero comportarsi. È lo studio dell'ideale dello Stato, dei principi etici e morali che dovrebbero guidare le sue azioni. Le teorie politiche normative cercano di definire cosa dovrebbe essere un buon Stato, quali dovrebbero essere i suoi obiettivi e come dovrebbe raggiungerli.
  2. Lo Stato come sede del potere e dell'autorità: in questo caso, l'attenzione si concentra sullo Stato come entità che detiene ed esercita il potere. Lo Stato è visto come l'autorità ultima che controlla la società e ha il potere di far rispettare le sue leggi e le sue regole. L'obiettivo è esplorare come lo Stato utilizza questo potere, come viene contestato, negoziato e distribuito e come influenza le relazioni sociali e politiche.
  3. Lo Stato come insieme di istituzioni e i loro effetti: in questa prospettiva, l'attenzione si concentra sullo Stato come insieme di istituzioni - come il governo, la magistratura, la pubblica amministrazione, ecc. - che hanno effetti concreti sulla società e sulla vita dei cittadini. Questo approccio esamina come queste istituzioni sono strutturate, come interagiscono, come influenzano le politiche pubbliche e come influiscono sul benessere dei cittadini.

Questi tre approcci forniscono un quadro analitico utile per comprendere lo Stato moderno, i suoi ruoli e le sue funzioni e il suo impatto sulla società. Inoltre, forniscono una base per comprendere le sfide e le opportunità che lo Stato deve affrontare nel contesto contemporaneo.

Il concetto di Stato

Definizione di Stato

Lo Stato è un concetto complesso che si è evoluto nel tempo e varia a seconda dei contesti storici e culturali. Fondamentalmente, lo Stato è un'entità politica con sovranità su un territorio e una popolazione definiti. Ha il potere di emanare e far rispettare le leggi, imporre l'ordine, controllare e difendere il proprio territorio e intrattenere relazioni con altri Stati.

Le basi dello Stato possono essere fatte risalire all'antichità, con i primi esempi in Egitto, Grecia e Cina.

  • Nell'antico Egitto, il concetto di Stato era legato alla figura del faraone, che era considerato un dio vivente e deteneva il potere assoluto sul territorio e sul popolo. La burocrazia statale era organizzata per servire il faraone e amministrare il Paese.
  • Nell'antica Grecia emerse l'idea della città-stato, in cui un territorio urbano e la campagna circostante formavano un'unità politica indipendente, o "polis". Si trattava di una comunità di cittadini liberi che partecipavano direttamente alle decisioni politiche, un concetto che ha gettato le basi della democrazia.
  • Nell'antica Cina, lo Stato era organizzato attorno alla nozione di "Mandato del Cielo", secondo la quale il sovrano, o imperatore, aveva il diritto di governare finché manteneva l'ordine e la prosperità. Il ruolo dello Stato era quello di garantire l'armonia sociale e mantenere l'ordine cosmico.

Il concetto moderno di Stato, così come lo conosciamo oggi, ha iniziato a prendere forma in Europa occidentale alla fine del Medioevo, con il declino del feudalesimo e l'avvento del Rinascimento. Durante il periodo feudale, il potere era ampiamente decentralizzato. I signori locali detenevano un potere considerevole sulle loro terre e sui loro sudditi e l'autorità del re era spesso limitata. Inoltre, il papato e l'impero avevano una grande influenza sulla vita politica e sociale. Tuttavia, con il declino del sistema feudale e l'ascesa delle città e del commercio durante il Rinascimento, il potere iniziò a essere centralizzato. I re iniziarono a consolidare la loro autorità, a istituire amministrazioni centralizzate e ad affermare il controllo sui loro territori. Fu in questo periodo che emersero i primi Stati nazionali, con confini definiti e autorità centralizzata. Anche il declino dell'influenza del papato e delle istituzioni imperiali giocò un ruolo fondamentale. Con il declino di queste autorità sovranazionali, i re poterono affermare la propria sovranità e assumere il controllo del territorio e della popolazione. Queste trasformazioni gettarono le basi dello Stato moderno. Tuttavia, va notato che il processo di formazione dello Stato è stato molto diverso da regione a regione e da Paese a Paese e che il concetto di Stato ha continuato a evolversi e a svilupparsi fino ai giorni nostri.

L'emergere dello Stato moderno è un argomento di studio vasto e complesso e molti ricercatori hanno contribuito alla comprensione di questo processo. Uno dei più importanti è senza dubbio Charles Tilly, sociologo e politologo americano noto soprattutto per il suo lavoro sull'evoluzione degli Stati europei. Tilly ha avanzato l'idea che l'emergere dello Stato moderno in Europa fosse strettamente legato alla guerra. Nel suo libro "Coercion, Capital, and European States, AD 990-1992", sostiene che gli Stati che sono riusciti a mobilitare risorse per la guerra sono riusciti a centralizzarsi e a svilupparsi. In altre parole, la necessità di raccogliere eserciti, tasse per finanziare le guerre e mantenere l'ordine interno ha portato alla creazione di amministrazioni centralizzate e al consolidamento dell'autorità statale. Tilly ha inoltre sottolineato l'importanza del conflitto sociale interno nella formazione dello Stato, in particolare il modo in cui gli Stati hanno risposto alle rivolte e alle insurrezioni. La teoria di Tilly ha avuto un'influenza significativa sulla nostra comprensione dell'evoluzione dello Stato. Tuttavia, va notato che la sua teoria si applica principalmente all'Europa e che l'emergere dello Stato moderno può variare notevolmente a seconda dei contesti storici, culturali e geografici.

Per Charles Tilly, per spiegare la formazione dello Stato moderno, è necessario prendere in considerazione tre dinamiche storiche principali:

  • l'importanza della guerra e la crescente tendenza dello Stato a monopolizzare la coercizione, che porterà quindi a un contrasto tra la sfera dello Stato, dove regna la violenza, e la sfera della vita civile, dove c'è la non violenza. A suo avviso, la guerra ha avuto un ruolo centrale nell'emergere dello Stato moderno in Europa, a causa del suo impatto sull'organizzazione politica e sociale. Secondo Tilly, la necessità per i sovrani di impegnare ingenti risorse nella guerra, soprattutto in seguito agli sviluppi della tecnologia militare (come l'introduzione della polvere da sparo nel XV secolo), ha portato a una maggiore centralizzazione del potere. Per finanziare guerre sempre più costose, i sovrani dovettero sviluppare una burocrazia efficiente per raccogliere le tasse in modo regolare e sistematico. Ciò portò alla creazione di un "bilancio statale", un'importante innovazione nell'organizzazione dello Stato. Inoltre, la necessità di reclutare uomini per la guerra e di fornire equipaggiamenti e viveri portò alla creazione di dipartimenti governativi specializzati. Ciò contribuì anche alla crescita della burocrazia statale. Infine, la capacità dello Stato di imporre tasse ai suoi sudditi fu accompagnata da una crescente richiesta da parte di questi ultimi di avere voce in capitolo nel governo. Ciò portò alla nascita di assemblee pubbliche e all'istituzione di alcune forme di rappresentanza politica. Guerre sempre più costose richiedevano risorse crescenti, spingendo i governanti a sviluppare sistemi di tassazione più efficienti e regolari. La gestione di questi fondi ha portato alla concettualizzazione del "bilancio statale", un'innovazione che rimane centrale nella gestione degli Stati moderni. Per sostenere gli sforzi bellici, i governanti dovettero anche sviluppare una burocrazia sempre più complessa. Questo includeva la creazione di dipartimenti governativi dedicati alla mobilitazione e al mantenimento degli eserciti, alla fornitura di materiale bellico e all'approvvigionamento di cibo. La burocrazia era necessaria anche per amministrare il più robusto sistema di tassazione. Inoltre, con l'aumento della capacità dello Stato di riscuotere le tasse, i sudditi cominciarono a chiedere maggiore rappresentanza e responsabilità ai loro governanti. Questa dinamica contribuì alla nascita di assemblee pubbliche e all'istituzione di alcune forme di rappresentanza politica. In breve, la tesi di Tilly suggerisce che le dinamiche della guerra furono un fattore importante nell'emergere dello Stato moderno e della sua burocrazia. Tuttavia, va notato che questa teoria ha i suoi critici e che anche altri fattori possono aver giocato un ruolo importante nell'evoluzione dello Stato.
  • L'avvento e lo sviluppo economico del capitalismo di mercato. A partire dal XV secolo si verificò una profonda trasformazione economica legata all'ascesa del commercio e della finanza. A partire dal XV secolo, l'ascesa del commercio e della finanza portò a profonde trasformazioni economiche. Lo sviluppo del capitalismo mercantile, con il suo predominio delle attività commerciali e bancarie, portò a una crescente urbanizzazione e a un'intensificazione degli scambi. Ciò portò all'emergere di un nuovo gruppo sociale, la borghesia, composto da mercanti e commercianti che traevano profitto dalla produzione e dal commercio di beni. A differenza dei contadini, la borghesia era un gruppo sociale politicamente libero che svolgeva un ruolo fondamentale nel finanziamento degli Stati, poiché accumulava capitali e prestava denaro ai governanti. Charles Tilly ha anche sottolineato l'importanza della monetarizzazione dell'economia in questo processo. A suo avviso, nelle regioni in cui l'economia era altamente monetizzata, tendevano ad emergere gli Stati più centralizzati e potenti. Inoltre, la presenza di città commerciali all'interno del territorio di uno Stato aveva un'influenza significativa sulla sua capacità di mobilitare risorse per la guerra.
  • Cambiamenti nell'ideologia e nelle rappresentazioni collettive che porteranno a un rafforzamento della legittimità dello Stato. Anche i cambiamenti nelle ideologie e nelle rappresentazioni collettive hanno svolto un ruolo importante nel rafforzare la legittimità dello Stato moderno. Una trasformazione importante è stata l'emergere dell'individualismo, che ha segnato una rottura con la coscienza collettiva dell'epoca feudale. Come ha illustrato lo storico George Duby nel suo libro "Les trois ordres", l'ideologia feudale era strutturata attorno a un ordine trifunzionale: coloro che pregano (il clero), coloro che combattono (i cavalieri) e coloro che lavorano (i contadini). In questo sistema, l'appartenenza individuale a un ordine era ampiamente predeterminata. Con l'emergere dell'individualismo, tuttavia, questo concetto iniziò a cambiare. Gli individui cominciarono a vedersi non come membri di un ordine predeterminato, ma come parti contraenti in relazione con il sovrano, i governanti e il governo. Ad esempio, un mercante poteva considerarsi un individuo in grado di negoziare il proprio rapporto con diversi governanti e poteva scegliere di offrire la propria fedeltà a quello che imponeva meno tasse. Questo sviluppo ha avuto un impatto significativo sulla legittimità dello Stato. Mentre la legittimità dello Stato feudale era spesso basata sul rispetto della tradizione e delle gerarchie stabilite, la legittimità dello Stato moderno si basa sempre più sulla sua capacità di rispettare e proteggere i diritti e gli interessi individuali. Questo ha portato a grandi cambiamenti nel modo in cui lo Stato è organizzato e governato.

La forma di Stato predominante oggi è lo Stato nazionale. In effetti, l'idea di Stato nazionale è strettamente legata all'idea di sovranità nazionale, il che significa che uno Stato è governato nell'interesse della propria popolazione nazionale. L'idea di Stato nazionale ha iniziato a crescere di importanza in Europa nel XIX secolo, quando è stata messa in pratica nell'ambito dei movimenti di unificazione in Italia e in Germania. Questi movimenti cercarono di riunire territori e popolazioni simili dal punto di vista linguistico e culturale in un'unica entità politica, creando così uno "Stato nazionale". Nel XX secolo, il concetto di Stato nazionale si è diffuso ben oltre l'Europa. Il crollo dell'Impero ottomano alla fine della Prima guerra mondiale, ad esempio, ha portato alla creazione della Turchia come Stato nazionale. Anche la decolonizzazione degli anni Cinquanta e Sessanta ha dato origine a un gran numero di nuovi Stati nazionali. In molti di questi casi, i confini dei nuovi Stati sono stati tracciati dalle potenze coloniali in ritirata, spesso senza tenere conto delle realtà etniche e culturali presenti sul territorio. Questo ha spesso portato a tensioni e conflitti che continuano ancora oggi.

Secondo Weber, influente sociologo tedesco, lo Stato è una "comunità umana che, entro i limiti di un determinato territorio... rivendica con successo per sé il monopolio della violenza fisica legittima".[1] Questa definizione si concentra su tre aspetti principali dello Stato:

  1. Territorialità: lo Stato deve controllare un territorio specifico. È la dimensione spaziale dello Stato, che si riferisce all'area geografica su cui lo Stato esercita il suo potere.
  2. Comunità: lo Stato è una comunità di persone. Questa è la dimensione umana dello Stato, che si riferisce alla popolazione che lo Stato governa.
  3. Monopolio della violenza legittima: lo Stato ha il diritto esclusivo di usare la forza per mantenere l'ordine e far rispettare le sue regole. È questo che distingue lo Stato da altri tipi di organizzazione politica.

La definizione di Weber evidenzia l'idea che la legittimità dello Stato si basa in gran parte sulla sua capacità di monopolizzare l'uso della violenza fisica in modo legittimo. Questa capacità è essenziale per mantenere l'ordine sociale e perché lo Stato possa esercitare efficacemente la sua autorità. Va notato che, sebbene questa definizione sia ampiamente accettata, è stata anche criticata e discussa. Alcuni sostengono, ad esempio, che la legittimità dello Stato non si basa solo sul monopolio della violenza, ma anche sulla sua capacità di fornire beni pubblici, proteggere i diritti umani, promuovere la giustizia sociale e così via.

Il territorio come parte dello Stato

Il territorio è un elemento essenziale nella definizione di Stato e lo distingue dalla nozione di "nazione". In termini semplici, il territorio si riferisce allo spazio geografico delimitato e controllato da uno Stato. Esso comprende non solo la terra, ma anche le risorse, lo spazio aereo e, in alcuni casi, le acque territoriali e le zone economiche esclusive.

D'altra parte, la nozione di "nazione" è spesso definita in termini più culturali o etnici. Una nazione è generalmente intesa come un gruppo di persone che condividono un'identità comune basata su caratteristiche quali la lingua, la cultura, l'etnia, la religione, le tradizioni o una storia comune. Una nazione può coincidere o meno con i confini di uno Stato. Ad esempio, la "nazione Navajo" negli Stati Uniti o la "nazione curda" in Medio Oriente sono nazioni che non corrispondono a uno Stato territoriale specifico.

L'idea di Stato nazionale cerca di combinare questi due concetti, proponendo l'ideale di uno Stato in cui la popolazione condivide un'identità nazionale comune. In pratica, però, molti Stati sono multinazionali o multiculturali e il perfetto allineamento tra nazione e Stato è raro.

I concetti di Stato e nazione non sono necessariamente strettamente legati. La nazione si riferisce generalmente a un gruppo di persone che condividono un'identità comune basata su caratteristiche culturali, etniche, linguistiche o storiche, e questa identità può esistere indipendentemente da uno specifico territorio o Stato.

L'esempio della comunità ebraica prima della creazione dello Stato di Israele illustra perfettamente questa idea. Per migliaia di anni, gli ebrei si sono considerati parte di una nazione, nonostante fossero sparsi in molti Paesi e regioni diverse. Questo senso di appartenenza a una nazione ebraica è persistito nonostante l'assenza di un territorio o di uno Stato specificamente ebraico.

Va anche detto che esistono nazioni che non hanno un proprio Stato, talvolta definite "nazioni senza Stato". I curdi, ad esempio, sono spesso citati come una nazione senza Stato, perché, pur avendo un forte senso di identità nazionale, non hanno un proprio Paese indipendente. Al contrario, molti Stati sono multinazionali o multietnici e ospitano diversi gruppi che possono considerarsi nazioni separate. Il Belgio, ad esempio, comprende sia i fiamminghi che i valloni, ciascuno con la propria lingua e cultura.

In breve, mentre lo Stato si riferisce a un'entità politica e territoriale, la nazione è un concetto più fluido e soggettivo, basato sul senso di appartenenza a una comunità. I due concetti non sempre coincidono.

Popolazione: essenziale per la struttura dello Stato

Lo Stato nazionale, in quanto modello dominante di organizzazione politica, ha rafforzato il legame tra nazione e Stato e, per estensione, il legame tra nazione e territorio. L'idea alla base del concetto di Stato nazionale è che ogni "nazione", o popolo con un'identità culturale comune, dovrebbe avere il proprio Stato. In uno Stato nazionale ideale, i confini dello Stato coinciderebbero perfettamente con l'estensione della nazione.

Tuttavia, la realtà è spesso più complessa. Ci sono molte nazioni che non hanno un proprio Stato. I curdi sono un esempio comunemente citato. D'altra parte, molti Stati sono multietnici o multinazionali e non hanno un'unica "nazione" che corrisponde esattamente ai loro confini.

Per quanto riguarda le "nazioni della diaspora", si tratta di un termine generalmente utilizzato per riferirsi a gruppi di persone che condividono un'identità nazionale comune ma che sono sparsi in diversi Paesi o regioni. Gli zingari, noti anche come rom, ne sono un esempio. Sebbene non abbiano un territorio o uno Stato specifico a loro associato, hanno una cultura, una lingua e una storia comuni che costituiscono un'identità nazionale.

Questi esempi dimostrano che il rapporto tra nazione, Stato e territorio può variare notevolmente e spesso è molto più complesso di quanto non appaia.

Lo Stato, come concetto e come realtà tangibile, è una costruzione umana. È un prodotto della storia, delle relazioni di potere, delle ideologie e delle istituzioni create dagli esseri umani. Lo Stato non è solo un'entità politica e giuridica che governa un determinato territorio, ma è anche una comunità di persone. Senza i suoi cittadini, uno Stato non avrebbe ragion d'essere. Le persone che vivono in uno Stato sono sia soggetti del suo potere sia beneficiari dei suoi servizi. Contribuiscono alla sua prosperità con il loro lavoro, pagano le tasse per finanziare le sue attività, obbediscono alle sue leggi e partecipano (nella maggior parte dei casi) al suo processo politico. Inoltre, lo Stato ha una responsabilità nei confronti dei suoi cittadini: proteggere i loro diritti e le loro libertà, fornire servizi pubblici, mantenere l'ordine e promuovere il benessere generale. Il rapporto tra uno Stato e i suoi cittadini è quindi fondamentale per la sua legittimità e il suo funzionamento.

Per questo si può dire che uno Stato senza abitanti è inconcepibile. Senza persone che lo costituiscano, lo governino e ne siano governate, uno Stato non avrebbe né sostanza né significato.

Il monopolio della coercizione fisica legittima: un aspetto unico dello Stato

In molte società storiche, il potere, la violenza e la coercizione erano molto più diffusi. Il monopolio della violenza legittima da parte dello Stato è una caratteristica del sistema statale moderno, ma non è sempre stato così. Prima della nascita degli Stati moderni, la capacità di esercitare la violenza era spesso distribuita tra diversi gruppi e istituzioni. Ad esempio, nel Medioevo in Europa, la violenza legittima era condivisa da una serie di attori, come i signori feudali, la Chiesa, le città autonome e così via. Ognuno di questi attori poteva esercitare una forma di violenza legittima in determinati contesti. Con l'emergere dello Stato moderno, il processo di centralizzazione del potere ha gradualmente portato all'istituzione del monopolio dello Stato sulla violenza legittima. Questo sviluppo è spesso legato alla necessità di mantenere l'ordine, proteggere i confini e controllare i conflitti interni. Tuttavia, anche negli Stati moderni, la violenza e la coercizione possono talvolta essere esercitate da altri attori, come gruppi criminali o organizzazioni paramilitari. Queste situazioni sono generalmente viste come sfide all'autorità dello Stato e al suo monopolio sulla violenza.

Secondo Tilly, "l'attività dello Stato in generale, e quindi la sua nascita, ha creato un forte contrasto tra la violenza della sfera statale e la non violenza della vita civile. Gli Stati europei hanno provocato questo contrasto, e lo hanno fatto istituendo mezzi di coercizione riservati e vietando alle popolazioni civili l'accesso a questi mezzi. Non bisogna sottovalutare la difficoltà o l'importanza del cambiamento: per la maggior parte della storia europea, la maggior parte degli uomini è sempre stata armata. Inoltre, in tutti gli Stati, i potentati locali e regionali disponevano di sufficienti mezzi di coercizione, di gran lunga superiori a quelli dello Stato se riuniti in una coalizione. Per lungo tempo, in molte parti d'Europa, i nobili ebbero il diritto di condurre guerre private e i banditi fiorirono quasi ovunque per tutto il XVII secolo. In Sicilia, i mafiosi, professionisti della violenza brevettata e protetta, continuano ancora oggi a terrorizzare la popolazione. Al di fuori del controllo dello Stato, le persone spesso traevano profitto dall'uso ragionato della violenza. Tuttavia, a partire dal XVII secolo, i governanti sono riusciti a far pendere la bilancia a favore dello Stato piuttosto che dei loro rivali; hanno reso illegale e impopolare il porto d'armi personale, hanno messo fuori legge le milizie private e sono riusciti a giustificare gli scontri tra polizia armata e civili armati. Allo stesso tempo, l'espansione delle forze armate dello Stato ha iniziato a superare l'arsenale a disposizione dei potenziali rivali nazionali".

Questo passaggio di Charles Tilly evidenzia un cambiamento chiave nella transizione verso gli Stati moderni: il crescente monopolio della violenza legittima da parte dello Stato. Questo processo non è stato facile o rapido, perché in passato molti attori potevano usare legittimamente la forza. Ad esempio, i signori feudali potevano condurre guerre private e molti uomini comuni erano armati. Tuttavia, nel corso del tempo, gli Stati sono riusciti gradualmente a limitare l'accesso ai mezzi di coercizione e a monopolizzare la violenza. Vietarono le milizie private, resero illegale e impopolare il porto d'armi personale e istituirono potenti forze di polizia ed eserciti statali. Allo stesso tempo, delegittimarono l'uso della forza da parte di altri attori, come nobili e banditi. Tuttavia, Tilly osserva che questo processo non fu del tutto completo o uniforme. In Sicilia, ad esempio, organizzazioni come la mafia hanno continuato a usare efficacemente la violenza, nonostante il controllo dello Stato. Inoltre, in molte parti del mondo, la violenza privata e non statale rimane una sfida importante all'ordine pubblico e alla legittimità dello Stato. La citazione di Tilly sottolinea quindi l'importanza del monopolio della violenza legittima per la costituzione degli Stati moderni, ma ci ricorda anche che questo monopolio non è mai assoluto ed è spesso contestato.

Uno degli aspetti chiave della definizione di Max Weber di Stato moderno è il monopolio della violenza legittima. In altre parole, in una società ben organizzata e stabile, solo lo Stato ha il diritto di usare la forza per mantenere l'ordine e far rispettare la legge. Questo monopolio è fondamentale per il funzionamento dello Stato moderno. Permette allo Stato di mantenere l'ordine pubblico, di proteggere i diritti e le libertà dei cittadini e di far rispettare le leggi in modo efficace. Allo stesso tempo, limita la possibilità per gli attori non statali, come i gruppi criminali o gli individui, di usare la violenza per raggiungere i propri scopi. Tuttavia, va notato che questo monopolio dello Stato non è sempre completo o incontrastato. Ci sono molti casi in cui attori non statali esercitano una violenza significativa, sia attraverso la criminalità organizzata, la violenza domestica o la ribellione armata. Inoltre, in alcune circostanze, lo Stato stesso può abusare del suo monopolio sulla violenza, portando a violazioni dei diritti umani e alla tirannia. Nel complesso, il monopolio della violenza da parte dello Stato è una caratteristica fondamentale dello Stato moderno, ma è anche fonte di molte sfide e tensioni.

Il concetto che lo Stato abbia il monopolio della forza legittima è un'idealizzazione che non sempre riflette la complessa e sfumata realtà sul campo. In molti Paesi del mondo esistono gruppi armati non statali che sfidano il monopolio dello Stato sull'uso della forza. In molti casi, questi gruppi sono in grado di controllare i territori, esercitare un'autorità sostanziale sulle popolazioni locali e condurre operazioni militari o paramilitari contro lo Stato o altri attori. L'Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) in Irlanda del Nord e Hamas nei Territori Palestinesi sono esempi notevoli di tali gruppi. Queste situazioni sollevano molte questioni difficili sulla legittimità, l'autorità e il controllo della violenza. Ad esempio, quando un gruppo non statale controlla un territorio ed esercita l'autorità sulla sua popolazione, può essere considerato uno Stato di fatto? E se un gruppo non statale ha il sostegno di gran parte della popolazione locale, questo gli conferisce una certa legittimità nell'uso della forza? Queste domande sono molto controverse e non esistono risposte semplici. Tuttavia, evidenziano il fatto che la realtà della politica, del potere e della violenza è spesso molto più complessa di quanto possano suggerire le teorie semplificate dello Stato e del monopolio della violenza.

La legittimità dell'uso della forza da parte dello Stato è un concetto che dipende in larga misura dalla prospettiva e dal contesto. L'uso della forza può essere considerato legittimo se il governo che lo esercita è a sua volta considerato legittimo e se l'uso della forza è considerato necessario e proporzionato per mantenere l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale o per far rispettare la legge. Tuttavia, è importante sottolineare che anche se un governo è generalmente considerato legittimo, ciò non significa che tutti i suoi usi della forza saranno necessariamente considerati legittimi. Ci sono molti esempi nella storia in cui i governi hanno usato la forza in modo abusivo o oppressivo, che sono stati ampiamente condannati come illegittimi. Inoltre, la questione della legittimità può essere fortemente influenzata da fattori quali la cultura, la religione, la storia, le ideologie politiche e i rapporti di forza. Ad esempio, ciò che è considerato un uso legittimo della forza in una società può essere considerato totalmente illegittimo in un'altra. Infine, va notato che il concetto di legittimità non è sempre chiaramente definito o universalmente accettato. Quello che per alcuni può essere considerato un "combattente per la libertà", per altri può essere visto come un "terrorista". Questa ambiguità e soggettività può spesso rendere le discussioni sulla legittimità dell'uso della forza molto complesse e controverse.

In alcuni casi, i gruppi armati possono giustificare l'uso della forza come risposta alla repressione o all'ingiustizia percepita dallo Stato o da altre autorità legittime. Questi gruppi possono sostenere di usare la violenza per difendere se stessi, la propria comunità o un'autorità oppressiva. Questo è un motivo comune per i conflitti armati, la guerriglia o i movimenti di resistenza. Tuttavia, è importante notare che, sebbene questi gruppi possano rivendicare la legittimità del loro uso della violenza, ciò non significa necessariamente che il loro uso sarà riconosciuto come legittimo da altri, inclusa la comunità internazionale, altri cittadini o persino altri membri della loro stessa comunità. Inoltre, l'uso della violenza da parte di questi gruppi può spesso comportare violazioni dei diritti umani, danni collaterali e altre conseguenze negative per i civili innocenti. In definitiva, la questione della legittimità o meno dell'uso della forza può essere molto complessa e controversa e può dipendere da una moltitudine di fattori, tra cui il contesto specifico, le motivazioni degli attori coinvolti, le norme e i valori della società.

Definizioni contemporanee di Stato

La natura complessa e multidimensionale dello Stato significa che non può essere ridotto a una definizione semplice o universale. Le molteplici definizioni di Stato riflettono diverse prospettive disciplinari, approcci teorici, contesti storici e politici, nonché variazioni culturali e regionali.

Nelle diverse discipline, come le scienze politiche, il diritto, la sociologia, l'economia o la storia, l'approccio alla comprensione dello Stato varia. Ad esempio, un giurista potrebbe esaminare lo Stato dal punto di vista della struttura giuridica e delle leggi, mentre un sociologo potrebbe concentrarsi sulle relazioni di potere e sulle istituzioni sociali. Inoltre, la concezione dello Stato si è evoluta nel tempo e varia a seconda dei contesti storici. Le definizioni contemporanee dello Stato possono quindi riflettere fasi diverse del suo sviluppo storico. Anche la natura dello Stato può variare da una regione o da una cultura all'altra. Le definizioni occidentali dello Stato possono non essere applicate allo stesso modo in contesti non occidentali. Inoltre, l'interpretazione dello Stato può essere influenzata dalle ideologie politiche. Una prospettiva marxista, ad esempio, potrebbe vedere lo Stato come uno strumento della classe dirigente, mentre una prospettiva liberale potrebbe vederlo come un arbitro neutrale tra diversi interessi sociali. Infine, data la complessità intrinseca dello Stato, che comprende una moltitudine di attori, istituzioni, regole e processi, non sorprende che esistano molti modi per definirlo. Queste varie definizioni ci aiutano a cogliere le diverse sfaccettature dello Stato e a comprendere meglio il suo ruolo e il suo funzionamento in contesti diversi.

Le definizioni più comuni sono le seguenti:

  • Definizione giuridica: uno Stato è un soggetto di diritto internazionale con un territorio definito, una popolazione permanente, un governo e la capacità di entrare in relazione con altri Stati. Questa definizione, ampiamente utilizzata nel diritto internazionale, è spesso associata alla Convenzione di Montevideo del 1933.
  • Definizione di Max Weber: per il sociologo Max Weber, uno Stato è un'entità che rivendica con successo il monopolio della violenza fisica legittima in un determinato territorio. Questa definizione sottolinea la capacità dello Stato di mantenere l'ordine e di far rispettare la legge attraverso il monopolio della violenza legittima.
  • Definizione istituzionale: alcuni teorici politici definiscono lo Stato in termini di organizzazioni e istituzioni. Secondo questa visione, uno Stato è un insieme di istituzioni politiche (come il governo, le burocrazie, le forze armate, ecc.) che possiedono l'autorità su uno specifico territorio e sulla sua popolazione.

Come definito da Charles Tilly nel suo articolo del 1985 War Making and State Making as Organized Crime, gli Stati sono "[Gli Stati sono] organizzazioni relativamente centralizzate e differenziate, i cui funzionari, più o meno, rivendicano con successo il controllo sui principali mezzi di violenza concentrati all'interno di una popolazione che abita un ampio territorio contiguo".[2] La citazione di Charles Tilly dal suo articolo del 1985, "War Making and State Making as Organized Crime", offre una definizione sintetica ma profonda dello Stato. Secondo Tilly, gli Stati sono "organizzazioni relativamente centralizzate e differenziate, i cui leader rivendicano, più o meno, il controllo dei principali mezzi di violenza concentrati in una popolazione che abita un vasto territorio contiguo".

Questo evidenzia alcuni punti chiave della sua concezione dello Stato:

  • Centralizzazione: gli Stati sono organizzazioni in cui il potere è concentrato e organizzato attorno a un'autorità centrale. Questa centralizzazione consente un migliore coordinamento e un controllo più efficace sulle varie funzioni e responsabilità dello Stato.
  • Differenziazione: gli Stati sono costituiti da molte parti diverse, ognuna con i propri ruoli e responsabilità. Questa differenziazione permette allo Stato di svolgere una moltitudine di funzioni necessarie alla sua sopravvivenza e al suo efficace funzionamento.
  • Controllo della violenza: un aspetto cruciale della definizione di Tilly è l'affermazione che gli Stati rivendicano il controllo sui principali mezzi di violenza. Ciò significa che hanno il monopolio dell'uso legittimo della forza fisica all'interno del loro territorio. Questo monopolio è essenziale per mantenere l'ordine e l'autorità dello Stato.
  • Popolazione e territorio: lo Stato è definito anche dalla popolazione che governa e dal territorio che controlla. Questi due aspetti sono fondamentali per l'esistenza e il funzionamento di uno Stato.

La definizione di Tilly offre una visione pragmatica e realistica dello Stato, sottolineando le sue capacità coercitive e il suo ruolo di entità organizzata con il monopolio della violenza.

La definizione di Stato proposta da Douglass North nel suo libro del 1981 "Structure and Change in Economic History" sottolinea l'importanza della violenza e del potere fiscale nella strutturazione dei confini dello Stato. North definisce lo Stato come "un'organizzazione con un vantaggio comparativo nella violenza, che si estende su un'area geografica i cui confini sono determinati dal potere di tassare i propri elettori".[3].

  • Vantaggio comparato nella violenza: questo concetto si riferisce all'idea che lo Stato abbia una maggiore capacità di esercitare legittimamente la violenza rispetto ad altre entità. Ciò gli consente di imporre la propria autorità e di mantenere l'ordine all'interno dei propri confini.
  • Confini determinati dal potere fiscale: North sottolinea anche l'importanza del potere fiscale nel definire i confini dello Stato. La capacità dello Stato di imporre tasse ai suoi elettori è un elemento essenziale della sua sovranità e della sua capacità di funzionare efficacemente.
  • Area geografica: lo Stato è definito da una certa area geografica. I confini di quest'area sono determinati dal potere dello Stato di esercitare legittimamente la violenza e di imporre tasse ai suoi elettori.

Questa definizione sottolinea l'importanza degli aspetti economici e coercitivi nella concezione dello Stato, pur riconoscendo che il potere e la portata dello Stato possono variare in base alla sua capacità di mobilitare risorse attraverso la tassazione.

La definizione di Stato proposta da Clark e Golder nel loro libro "Principles of Comparative Politics", pubblicato nel 2009, si concentra sull'uso della coercizione e della minaccia della forza per governare un determinato territorio. Secondo loro, "uno Stato è un'entità che usa la coercizione e la minaccia della forza per governare un determinato territorio. Uno Stato fallito è un'entità simile a uno Stato che non può esercitare la coercizione e non è in grado di controllare efficacemente gli abitanti di un determinato territorio"[4] Questa definizione evidenzia il ruolo cruciale della coercizione nell'esercizio del potere statale. L'uso della forza e la minaccia della forza sono considerati elementi chiave dell'autorità statale. Clark e Golder hanno anche introdotto la nozione di Stato fallito. Secondo loro, uno Stato fallito è un'entità che assomiglia a uno Stato, ma è incapace di esercitare efficacemente la coercizione o di controllare gli abitanti di un determinato territorio. Questo concetto è importante perché ci permette di comprendere la fragilità di alcuni Stati e i problemi che possono derivare dalla loro incapacità di esercitare efficacemente l'autorità. In breve, questa definizione sottolinea la capacità dello Stato di controllare e regnare su un territorio attraverso l'uso della coercizione e della minaccia della forza.

In alcune definizioni moderne di Stato, la nozione di legittimità e di monopolio sull'uso della violenza può essere attenuata. Ciò può in parte riflettere la complessa realtà di un mondo in cui anche gli attori non statali possono esercitare una qualche forma di coercizione o di violenza, come nel caso di alcuni gruppi terroristici o di criminalità organizzata. Tuttavia, la nozione di territorio rimane centrale nella maggior parte delle definizioni di Stato. In genere si riconosce che uno Stato ha il controllo su un territorio specifico, anche se la realtà di questo controllo può variare nella pratica. La capacità coercitiva di uno Stato non si limita all'uso effettivo della forza. A volte la semplice minaccia della coercizione può essere sufficiente per mantenere l'ordine e garantire il rispetto delle regole. In effetti, la coercizione spesso agisce attraverso la deterrenza: la paura di potenziali conseguenze può impedire agli individui di comportarsi in modi indesiderati o illegali. È importante notare che queste definizioni non sono esaustive e possono variare a seconda delle prospettive teoriche e dei contesti storici e geografici. In definitiva, lo studio dello Stato richiede una comprensione sfumata e multidimensionale dei suoi diversi aspetti e funzioni.

Lo Stato, qualunque sia il suo regime politico, mantiene il suo potere e il suo ordine utilizzando una qualche forma di coercizione o di minaccia di coercizione. Questa coercizione può assumere molte forme, tra cui l'applicazione di leggi e regolamenti, l'amministrazione della giustizia, la riscossione delle imposte e il mantenimento dell'ordine pubblico. La coercizione fiscale è un buon esempio. Le tasse sono obbligatorie e chi non le paga può andare incontro a sanzioni, multe e persino al carcere. È attraverso questa minaccia di coercizione che lo Stato può raccogliere le entrate necessarie per fornire beni e servizi pubblici. Tuttavia, la legittimità di questa coercizione è fondamentale. In una democrazia, ad esempio, la coercizione statale è generalmente percepita come legittima perché viene esercitata nell'ambito di un sistema politico in cui i cittadini hanno il potere di scegliere i propri leader e di influenzare le politiche pubbliche. In una dittatura, invece, la coercizione statale può essere percepita come illegittima, soprattutto se viene utilizzata per reprimere il dissenso e violare i diritti umani.

In realtà, il controllo assoluto della coercizione da parte dello Stato è raramente, se non mai, pienamente raggiunto. In ogni società, esiste una varietà di attori non statali che hanno una certa capacità di esercitare la coercizione o di resistere alla coercizione statale. Questi attori possono assumere la forma di organizzazioni criminali, gruppi militanti, compagnie di sicurezza private, comunità religiose o tradizionali, tra gli altri. Questi attori possono talvolta sfidare o integrare la capacità dello Stato di esercitare la coercizione, in particolare nelle aree in cui lo Stato è debole o assente. Ad esempio, in alcune parti del mondo, gruppi criminali organizzati o milizie armate possono esercitare un controllo effettivo su determinati territori, sfidando apertamente il monopolio della violenza dello Stato. Per questo è importante la nozione di "vantaggio comparato" introdotta da North. Piuttosto che descrivere lo Stato come se avesse il monopolio assoluto della violenza, North suggerisce che lo Stato ha semplicemente un vantaggio comparativo nell'esercizio della coercizione. Ciò riconosce che, sebbene lo Stato sia generalmente l'attore più potente in una determinata società, non è l'unico attore in grado di esercitare la coercizione.

La nozione di differenziazione è centrale nel concetto di Stato. Si riferisce alla distinzione tra lo Stato e la società civile, dove lo Stato mantiene un certo grado di autonomia dalle forze sociali, economiche e politiche che operano nella società. La tassazione è un buon esempio di questa differenziazione. Imponendo tasse, lo Stato esercita la sua autorità e il suo controllo sui cittadini e sulle risorse economiche. Utilizza queste risorse per finanziare una serie di funzioni pubbliche, tra cui la difesa e la sicurezza, ma anche i servizi sociali, l'istruzione, le infrastrutture e altre attività. Controllando queste risorse e decidendo come allocarle, lo Stato si distingue dalla società civile e afferma la propria autorità. Come ha sottolineato Charles Tilly, la tassazione ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo storico degli Stati moderni. Ha permesso agli Stati di accumulare le risorse necessarie per finanziare eserciti e guerre, rafforzando la loro autorità e il loro controllo sui territori. Inoltre, la tassazione è stata spesso utilizzata come strumento per unificare territori e popolazioni diverse sotto un'unica autorità statale. Di conseguenza, la capacità di raccogliere e gestire le tasse in modo efficace è spesso considerata una caratteristica essenziale di uno Stato funzionale.

Il caso degli Stati falliti

Samuel Huntington, nella sua teoria dell'ordine politico, sostiene che la forma di governo (ad esempio democrazia, autocrazia) è meno importante per il benessere di una società rispetto al grado di governo, cioè alla capacità di uno Stato di amministrare efficacemente le proprie politiche e mantenere l'ordine.[5] Per Huntington, l'efficacia di un governo si misura dal suo livello di burocrazia, dalla stabilità delle sue istituzioni e dalla sua capacità di mantenere l'ordine pubblico e di fornire servizi pubblici essenziali ai suoi cittadini. Da questo punto di vista, uno Stato forte è quello in grado di mantenere la stabilità, l'ordine e di fornire i servizi di base ai suoi cittadini, indipendentemente dal fatto che sia democratico o meno. Huntington sostiene quindi che l'ordine politico deve precedere la modernizzazione e la democratizzazione. In altre parole, prima di tentare di instaurare una democrazia, dobbiamo prima creare uno Stato solido e ben gestito.

La definizione data da Clark, Golder e Golder nel loro libro del 2009 "Principles of Comparative Politics" si concentra sulla capacità di uno Stato di esercitare il potere attraverso la coercizione e la minaccia della forza in un determinato territorio: "Uno Stato è un'entità che usa la coercizione e la minaccia della forza per governare in un determinato territorio. Uno Stato fallito è un'entità simile a uno Stato che non è in grado di esercitare la coercizione e di controllare con successo gli abitanti di un determinato territorio"[6] Secondo loro, uno Stato è un'entità che utilizza la coercizione e la minaccia della forza per governare un determinato territorio. In altre parole, per essere considerato tale, uno Stato deve avere la capacità di mantenere l'ordine, far rispettare le leggi e controllare efficacemente la popolazione all'interno dei suoi confini. Questa capacità è generalmente supportata dall'uso della forza, o dalla minaccia della forza, per scoraggiare il mancato rispetto di leggi e regolamenti. Al contrario, uno "Stato fallito" è uno Stato che non può esercitare la coercizione e non è in grado di controllare con successo gli abitanti di un determinato territorio. Uno Stato fallito è uno Stato che, per varie ragioni, non è più in grado di svolgere le funzioni fondamentali di uno Stato. Tali Stati sono spesso caratterizzati da conflitti interni, mancanza di controllo territoriale, governance inefficace e incapacità di fornire servizi pubblici di base alla popolazione.

Quando uno Stato non è in grado di attuare o far rispettare la propria volontà, ciò può manifestarsi in diversi modi. Ad esempio, può verificarsi una diffusa inosservanza della legge, in cui i cittadini non rispettano le leggi e i regolamenti stabiliti dallo Stato. Questo è spesso il risultato di una mancanza di fiducia nella legittimità dello Stato o nella sua efficacia nel far rispettare la legge. Inoltre, ci possono essere aree del Paese in cui lo Stato non ha un controllo effettivo, come spesso accade negli Stati falliti o in via di fallimento. In queste aree, altre entità, come gruppi armati, milizie o organizzazioni criminali, possono esercitare un controllo effettivo. Infine, uno Stato può non essere in grado di fornire servizi pubblici di base ai propri cittadini, come la salute, l'istruzione e la sicurezza. Questa incapacità può derivare dalla mancanza di risorse, dalla cattiva gestione o dalla corruzione.

Uno Stato che non ha mezzi sufficienti per esercitare i propri vincoli, o non ha la capacità di esercitare efficacemente la propria autorità all'interno del proprio territorio, viene spesso definito uno Stato debole o in crisi. La capacità di riscuotere le tasse è spesso considerata una funzione fondamentale dello Stato, in quanto consente di finanziare i servizi pubblici e di far funzionare la macchina di governo. Se uno Stato non è in grado di riscuotere le tasse in modo efficace, ciò può indicare una mancanza di autorità o di controllo sul proprio territorio. Può anche significare che lo Stato ha difficoltà a fornire servizi di base ai suoi cittadini, il che a sua volta può erodere la sua legittimità e stabilità. In casi estremi, l'incapacità di uno Stato di riscuotere le tasse può contribuire al suo collasso o fallimento, creando un vuoto di potere che può essere sfruttato da attori non statali, come gruppi armati o organizzazioni criminali.

I seguenti Paesi hanno affrontato sfide significative in termini di governance, instabilità politica e conflitti, che hanno minato la capacità dei rispettivi governi di esercitare pienamente la propria autorità e di fornire servizi di base ai cittadini. Tuttavia, va notato che la situazione può variare notevolmente da un Paese all'altro, e persino da una regione all'altra all'interno dello stesso Paese. Inoltre, questi Paesi stanno lavorando attivamente, spesso con l'aiuto della comunità internazionale, per superare queste sfide e migliorare la loro capacità statale. Ecco una breve descrizione della situazione in ciascuno di questi Paesi:

  • Afghanistan: dal ritiro delle forze statunitensi e della NATO nel 2021, il Paese è di nuovo sotto il controllo dei Talebani. La situazione politica e di sicurezza rimane instabile e il governo talebano deve affrontare enormi sfide per governare il Paese.
  • Somalia: la Somalia è stata tormentata da una guerra civile fin dagli anni '90. Tuttavia, dal 2012, è iniziato un processo di stabilizzazione del paese. Tuttavia, dal 2012 è in corso un processo di stabilizzazione politica con la formazione di un governo federale. Tuttavia, il Paese continua a dover affrontare gravi problemi di sicurezza, in particolare a causa delle attività del gruppo militante Al-Shabaab.
  • Haiti: Haiti ha dovuto affrontare una serie di sfide in termini di governance e stabilità politica. L'assassinio del presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021 ha esacerbato la crisi politica del Paese. Haiti è inoltre alle prese con gravi difficoltà economiche e problemi di sicurezza, tra cui rapimenti e banditismo.
  • Sierra Leone: la Sierra Leone ha vissuto una devastante guerra civile dal 1991 al 2002. Da allora, il Paese ha compiuto progressi significativi nella riconciliazione e nella ricostruzione, ma deve ancora affrontare gravi difficoltà economiche e sociali.
  • Congo: la Repubblica Democratica del Congo (RDC) è stata tormentata da decenni da conflitti e instabilità politica. Sebbene la situazione sia migliorata dalla fine della guerra del Congo nel 2003, il Paese deve ancora affrontare grandi sfide in termini di governance, sicurezza e sviluppo.
  • Eritrea: l'Eritrea è uno Stato autoritario, il cui governo è stato criticato per le violazioni dei diritti umani. Il Paese deve inoltre affrontare notevoli sfide economiche.

Il Fondo per la pace è un'organizzazione indipendente di ricerca e formazione che lavora per prevenire la guerra e ridurre la violenza. Ha creato l'Indice degli Stati Fragili (FSI) per valutare la stabilità e la pressione sugli Stati di tutto il mondo. L'indice si basa su dodici indicatori distinti che misurano diversi aspetti della fragilità di uno Stato.

Questi dodici indicatori sono utilizzati dal Fondo per la pace per valutare la fragilità degli Stati. Ecco una spiegazione di ciascun indicatore:

  1. Pressione demografica: questo indicatore valuta le potenziali tensioni derivanti da fattori demografici come la sovrappopolazione, la scarsità di risorse alimentari e idriche o la mancanza di infrastrutture adeguate.
  2. Situazione di emergenza umanitaria legata ai movimenti di popolazione: misura l'entità delle crisi umanitarie causate dai movimenti di popolazione, come gli spostamenti forzati di popolazione o i movimenti di rifugiati.
  3. Mobilitazione di gruppi sulla base di rimostranze (vendetta): esamina la misura in cui particolari gruppi possono mobilitarsi sulla base di rimostranze reali o percepite, minacciando così la stabilità dello Stato.
  4. Emigrazione: misura il grado di emigrazione dal Paese, spesso a causa delle precarie condizioni politiche, economiche o di sicurezza.
  5. Disparità di sviluppo economico tra i gruppi: Questo indicatore valuta il divario di sviluppo economico tra i diversi gruppi all'interno dello Stato, che può portare a tensioni sociali e politiche.
  6. Povertà, declino economico: misura la prevalenza della povertà e l'entità del declino economico, che possono contribuire alla fragilità dello Stato.
  7. Criminalizzazione dello Stato (mancanza di legittimità): Questo indicatore valuta la misura in cui lo Stato stesso è coinvolto in attività illegali o criminali, che possono erodere la sua legittimità agli occhi della popolazione.
  8. Progressivo deterioramento dei servizi pubblici: questo indicatore valuta l'efficacia con cui lo Stato è in grado di fornire servizi pubblici essenziali alla popolazione, come l'istruzione, la sanità e le infrastrutture.
  9. Violazione dei diritti umani e dello Stato di diritto: questo indicatore misura la portata delle violazioni dei diritti umani e dello Stato di diritto commesse dallo Stato o con il suo consenso.
  10. Apparato di sicurezza che opera come uno Stato nello Stato: questo indicatore valuta la misura in cui le forze di sicurezza statali operano indipendentemente dal controllo civile o legale, agendo come uno "Stato nello Stato".
  11. Divisione delle élite: Questo indicatore misura il grado di divisione o conflitto tra le diverse élite all'interno dello Stato, siano esse politiche, economiche, militari o di altro tipo.
  12. Intervento di altri Stati o di altri agenti esterni: misura il grado di intervento di altri Stati o di attori esterni negli affari dello Stato, che può contribuire alla sua fragilità.

Ogni indicatore è valutato su una scala da 0 a 10, dove 0 rappresenta la minima vulnerabilità e 10 la massima vulnerabilità. Sommando i punteggi di ciascun indicatore si ottiene un punteggio totale per ogni Paese, che viene poi utilizzato per stabilire una classifica generale della fragilità dello Stato. È importante notare che l'Indice di fragilità dello Stato è una misura relativa e non assoluta della vulnerabilità di uno Stato. Mira a dare un'indicazione generale della situazione di un Paese, ma non pretende di fornire un quadro completo o accurato della realtà sul campo. Inoltre, l'ISF è soggetto a critiche e dibattiti tra i ricercatori e gli operatori nel campo della stabilità dello Stato e della prevenzione dei conflitti.

Le quattro categorie seguenti, definite dal Fondo per la pace, sono utilizzate per classificare la stabilità degli Stati sulla base dei loro punteggi totali sui dodici indicatori. Ogni categoria rappresenta un diverso livello di stabilità o vulnerabilità:

  1. Allarme: questa categoria comprende gli Stati con i punteggi più alti e che quindi sono i più vulnerabili. Questi Stati presentano livelli di fragilità e rischio di instabilità o conflitto estremamente preoccupanti. Richiedono un'attenzione urgente per evitare una grave crisi o destabilizzazione. Esempi: Afghanistan, Somalia.
  2. Attenzione: Gli Stati di questa categoria hanno punteggi piuttosto alti, che indicano un livello significativo di vulnerabilità, anche se non così grave come gli Stati in stato di allerta. Questi Stati hanno spesso problemi sistemici che, se non risolti, potrebbero portare a una crisi. Esempi: Iraq, Nigeria.
  3. Moderato: Gli Stati di questa categoria hanno punteggi moderati, che indicano un certo grado di stabilità, ma anche la presenza di sfide. Sono generalmente stabili, ma hanno problemi in alcune aree che richiedono attenzione per evitare un ulteriore deterioramento. Esempi: Brasile, India.
  4. Sostenibili: questi Stati hanno i punteggi più bassi, che indicano un alto livello di stabilità. In genere hanno istituzioni forti ed efficaci, economie robuste e alti livelli di rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. Tuttavia, nessuno Stato è totalmente immune dalle sfide, quindi anche gli Stati di questa categoria devono continuare a impegnarsi per mantenere la stabilità. Esempi: Canada, Norvegia.

Queste categorie forniscono un mezzo per valutare rapidamente il livello di stabilità di uno Stato e identificare le aree che richiedono attenzione o intervento.

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Le statistiche del 2011 indicano chiaramente che la maggior parte degli Stati del mondo sta affrontando sfide significative per la stabilità e la governance. Il 73% degli Stati classificati come in stato di allerta o di allarme sottolinea il livello generale di vulnerabilità e la necessità di misure efficaci per prevenire instabilità e crisi. D'altra parte, con solo 15 Stati su 127 (meno del 12%) classificati come stabili e sostenibili, è chiaro che i modelli di governance stabili, come la democrazia e lo Stato di diritto, sono ben lontani dall'essere la norma globale. Questi Stati stabili sono concentrati soprattutto nel Nord America e nell'Europa occidentale, a indicare un marcato divario geografico in termini di stabilità politica e istituzionale.

Secondo Max Weber, nel suo libro "Teoria dell'organizzazione sociale ed economica", lo stato moderno è

Max Weber, nel suo libro "Teoria dell'organizzazione sociale ed economica", offre una definizione dello Stato moderno che pone l'accento su alcuni elementi fondamentali: "le caratteristiche formali primarie dello Stato moderno sono le seguenti: Possiede un ordinamento amministrativo e giuridico soggetto a modifiche legislative, al quale è orientata l'attività aziendale organizzata del personale amministrativo, anch'essa regolata dalla legislazione. Questo ordinamento rivendica un'autorità vincolante non solo sui membri dello Stato, i cittadini, la maggior parte dei quali ne ha ottenuto l'appartenenza per nascita, ma anche, in misura molto ampia, su tutte le azioni che si svolgono nell'area della sua giurisdizione: si tratta quindi di un'associazione obbligatoria a base territoriale. Inoltre, oggi l'uso della forza è considerato legittimo solo nella misura in cui è consentito dallo Stato o è da esso prescritto".[7]

In primo luogo, lo Stato ha un ordine amministrativo e giuridico che può essere modificato dalla legislazione. Ciò significa che lo Stato ha un insieme di norme e strutture che regolano il suo funzionamento e che possono essere modificate da atti legislativi. In secondo luogo, anche l'attività organizzata del personale amministrativo è regolata dalla legislazione. Ciò indica che non solo l'ordine amministrativo e giuridico, ma anche il funzionamento quotidiano dell'amministrazione statale è regolato dalla legge. In terzo luogo, lo Stato rivendica un'autorità vincolante non solo sui suoi cittadini, ma anche su tutte le azioni che si svolgono sul suo territorio. Ciò rende lo Stato un'associazione obbligatoria basata sul territorio. Infine, Weber sottolinea che l'uso della forza è considerato legittimo solo nella misura in cui è autorizzato o prescritto dallo Stato. Ciò significa che lo Stato ha il monopolio della violenza legittima e che qualsiasi altro uso della forza è considerato illegittimo a meno che non sia espressamente autorizzato dallo Stato.

Lo Stato moderno si distingue per la sua autorità sovrana, che si esercita attraverso la legislazione e il rispetto della legge. Le norme e gli obblighi formulati dallo Stato si applicano a tutti coloro che risiedono nel suo territorio, compreso lo Stato stesso. Ciò significa che lo Stato è obbligato a rispettare le proprie leggi e i propri regolamenti. Questa idea è alla base del concetto di Stato di diritto, secondo il quale tutte le persone, le istituzioni e le entità, compreso lo Stato stesso, sono responsabili nei confronti della legge, che viene applicata in modo giusto ed equo. In questa prospettiva, l'uso della coercizione o della violenza da parte dello Stato non è arbitrario. Al contrario, è regolato da leggi o disposizioni costituzionali che definiscono le circostanze e le procedure per il suo utilizzo. È per questo che lo Stato ha il monopolio della "violenza legittima", perché il suo uso della forza è limitato e regolato dalla legge. Questa capacità di autoregolazione è fondamentale per la legittimità dello Stato. Senza di essa, lo Stato rischia di diventare un'entità oppressiva e arbitraria, perdendo così la sua legittimità agli occhi dei cittadini.

La legge fornisce il quadro strutturale all'interno del quale opera lo Stato. Definisce la forma di governo (repubblica, monarchia costituzionale, ecc.), il modo in cui il potere è distribuito (unitario, federale, ecc.) e i principi fondamentali dell'organizzazione politica (democrazia, autocrazia, ecc.). Oltre a questi aspetti, la legge stabilisce anche il quadro della pubblica amministrazione. Definisce le responsabilità dei vari organi di governo, le procedure da seguire nell'attuazione delle politiche, i diritti e i doveri dei dipendenti pubblici, ecc. Inoltre, nelle democrazie, la legge prevede generalmente meccanismi di controllo democratico, come elezioni, audizioni pubbliche e altre forme di partecipazione dei cittadini, per garantire che la pubblica amministrazione resti responsabile e trasparente. Infine, la legge svolge un ruolo cruciale nello stabilire l'ordine sociale ed economico all'interno dello Stato. Regolamenta una moltitudine di aspetti della vita sociale ed economica, dalla protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali alla regolamentazione dei mercati e dell'economia. In breve, la legge è uno strumento essenziale attraverso il quale lo Stato struttura e organizza la propria attività e la vita dei suoi cittadini. Senza la legge, lo Stato non potrebbe funzionare in modo efficace o equo.

Il concetto di sovranità

Dobbiamo risalire al XVI secolo per trovare la prima elaborazione di questa nozione da parte di Jean Bodin, poi approfondita da Thomas Hobbes.

Jean Bodin (1530-1596) è spesso considerato uno dei primi pensatori ad aver formulato una chiara nozione di sovranità nella sua opera "I sei libri della Repubblica" (1576). Bodin definì la sovranità come un potere supremo sui cittadini e sui sudditi, irresponsabile nei confronti di questi ultimi. Per Bodin, la sovranità era una caratteristica necessaria dello Stato ed era perpetua, indivisibile e assoluta.

Anche Thomas Hobbes (1588-1679) ha dato un contributo significativo all'idea di sovranità. Nella sua opera Leviathan (1651), Hobbes sostiene che per evitare uno stato di guerra tra tutti contro tutti, gli uomini stipulano un contratto sociale e accettano di sottomettersi a un sovrano. Secondo Hobbes, il sovrano, sia esso una persona (come in una monarchia) o un gruppo di persone (come in una repubblica), detiene il potere assoluto e indefettibile di mantenere l'ordine e la pace.

Tra il XVI e il XVII secolo, l'Europa ha attraversato un periodo di grandi sconvolgimenti. Questo periodo, spesso definito "epoca moderna", è stato segnato dalle guerre di religione, in particolare in Francia e in Germania, dove i conflitti tra cattolici e protestanti hanno causato forti tensioni socio-politiche. La Riforma protestante, avviata da Martin Lutero all'inizio del XVI secolo, divise il continente europeo, portando a disordini politici, conflitti violenti e guerre. Contemporaneamente a queste guerre religiose, si verificò un'instabilità politica dovuta all'emergere dei moderni Stati sovrani. I monarchi cercarono di centralizzare il loro potere e di affermare la loro autorità, spesso attraverso conflitti militari, per rafforzare il controllo sui loro territori. Questo processo ha portato alla nascita dello Stato nazionale moderno, caratterizzato da una sovranità territoriale distinta e da un'autorità centralizzata. La Guerra dei Trent'anni (1618-1648), che devastò gran parte dell'Europa, è un esempio lampante di questo periodo. Iniziata come guerra di religione nell'Impero Romano Germanico, si sviluppò in un conflitto politico più ampio che coinvolse diverse grandi potenze europee. La guerra portò infine alla Pace di Westfalia, che ridefinì il concetto di sovranità e stabilì l'idea moderna di Stati nazionali indipendenti.

Jean Bodin, filosofo politico francese del XVI secolo, aveva una grande preoccupazione: stabilire un'autorità legittima e duratura in patria. Secondo lui, la creazione e la legittimazione di un ordine interno era essenziale per stabilire la giustizia e garantire le libertà individuali. Bodin utilizzò la nozione di sovranità per descrivere l'autorità suprema esercitata dal principe o dal monarca sui suoi sudditi in tutto il regno. Più tardi, nel XVII secolo, il filosofo inglese Thomas Hobbes riprese questa idea nella sua opera principale "Leviathan". Per Hobbes, lo Stato era un'entità potente, da lui soprannominata "Leviatano", che deteneva il monopolio assoluto dell'uso della violenza. Questa autorità assoluta e incontestabile del sovrano è necessaria per mantenere l'ordine e la pace nella società, evitando così quello che Hobbes chiama "stato di natura", dove la vita sarebbe "solitaria, povera, bruta e breve". La nozione di sovranità, così come sviluppata da Bodin e Hobbes, si riferisce quindi all'idea di un potere supremo e assoluto, esercitato dallo Stato su un determinato territorio, che è essenziale per garantire l'ordine, la giustizia e le libertà individuali.

Per Jean Bodin, l'autorità sovrana è caratterizzata dalla sua natura assoluta e perpetua. Secondo lui, la sovranità rappresenta il massimo potere di comando in una Repubblica, in altre parole, l'ineguagliabile capacità di dettare leggi, regolare la società e controllare l'uso della forza. Si manifesta attraverso l'esercizio del potere senza restrizioni o vincoli, se non quelli stabiliti dalla legge naturale e divina. Questo potere assoluto è indispensabile per mantenere l'ordine e la pace nella società. È anche perpetuo, poiché non può essere annullato o revocato una volta stabilito. In altre parole, il sovrano conserva la sua autorità fino a quando non decide volontariamente di rinunciarvi o fino a quando non viene rovesciato da un altro potere.

Secondo Bodin, il potere sovrano è supremo e comprende tutti i cittadini della Repubblica. Questo potere ha l'autorità illimitata di creare, interpretare e applicare le leggi. È responsabile della nomina dei magistrati e della risoluzione delle controversie. Di conseguenza, il Principe, in quanto detentore della sovranità, è considerato il guardiano dell'ordine politico. È sotto l'egida della sovranità che lo Stato è in grado di mantenere l'ordine sociale e politico, amministrare la giustizia, proteggere i diritti dei cittadini e garantire il benessere della società. La sovranità è quindi la pietra angolare della stabilità dello Stato e della pace sociale. È importante notare che questa visione della sovranità come potere assoluto e perpetuo non è priva di controversie, in particolare per quanto riguarda i limiti del potere sovrano e il rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini.

Ne "Il contratto sociale", Rousseau sviluppa l'idea di uno "stato di natura" come una sorta di condizione pre-sociale e pre-politica in cui l'umanità avrebbe vissuto prima dell'avvento della società e dello Stato. Egli si differenzia da Hobbes, tuttavia, nella sua visione di questo stato di natura [8] Mentre per Hobbes lo stato di natura era caratterizzato da una "guerra di tutti contro tutti" in cui regnavano insicurezza e paura, per Rousseau lo stato di natura era un periodo di innocenza, pace e uguaglianza. Secondo lui, nello stato di natura le persone erano essenzialmente buone, ma la creazione della società, con le sue disuguaglianze e i suoi conflitti, aveva corrotto questa bontà naturale. Rousseau propose il contratto sociale come soluzione a questa corruzione. Gli individui accettano di sottomettersi alla volontà generale, che rappresenta il bene comune, in cambio della protezione dei loro diritti e delle loro libertà. Per Rousseau, quindi, la sovranità appartiene al popolo, non a un monarca o a un'élite. Questa visione della sovranità influenzerà le teorie della democrazia e della repubblica.

La nozione di sovranità fu sviluppata per la prima volta in modo significativo da Jean Bodin nel XVI secolo. Nella sua opera "I sei libri della Repubblica" (1576), Bodin definì la sovranità come "il potere assoluto e perpetuo di una Repubblica", esercitato dallo Stato sul suo territorio e sulla sua popolazione. Secondo Bodin, la sovranità è indivisibile, inalienabile e perpetua. Si manifesta nel potere di fare leggi, dichiarare guerra e pace, amministrare la giustizia, controllare la moneta e imporre tasse. La sovranità interna, invece, si riferisce alla capacità di uno Stato di controllare efficacemente il proprio territorio e di esercitare l'autorità sulla propria popolazione. Ciò include la capacità di applicare e far rispettare le leggi, mantenere l'ordine pubblico, proteggere i diritti e le libertà dei cittadini e fornire servizi pubblici. Uno Stato con una forte sovranità interna è in grado di mantenere l'ordine e la stabilità all'interno dei propri confini, senza bisogno di interventi esterni.

È importante notare che queste due concezioni della sovranità non si escludono a vicenda. Anzi, spesso sono interdipendenti. Uno Stato può avere la sovranità nel senso di Bodin (cioè la capacità di fare leggi e prendere decisioni senza interferenze esterne), ma se non ha una forte sovranità interna (cioè la capacità di far rispettare efficacemente quelle leggi e quelle decisioni), la sua sovranità complessiva può essere compromessa. Al contrario, uno Stato che ha una forte sovranità interna, ma è soggetto a forti pressioni o interferenze esterne, può veder indebolita la sua sovranità complessiva.

Stephen D. Krasner, specialista di politica internazionale, ha ulteriormente esplorato la nozione di sovranità proponendo quattro distinte concezioni di sovranità nel suo libro Sovereignty: Organized Hypocrisy (1999).[9] Queste concezioni sono:

  1. Sovranità interna: si riferisce all'organizzazione dell'autorità pubblica all'interno di uno Stato e alla capacità dello Stato di esercitare efficacemente la propria autorità e controllare il proprio territorio. È legata al concetto di sovranità interna menzionato in precedenza.
  2. Sovranità interdipendente: Riguarda la capacità degli Stati di controllare i movimenti transfrontalieri di persone, merci, idee, ecc. Con la globalizzazione, questa forma di sovranità è diventata sempre più problematica, poiché gli Stati hanno spesso difficoltà a controllare questi flussi transfrontalieri.
  3. Sovranità westfaliana: dal nome dei Trattati di Westfalia (1648) che posero fine alla Guerra dei Trent'anni in Europa, questo concetto si riferisce all'esclusione di interferenze esterne negli affari interni di uno Stato. È una forma di sovranità che viene spesso invocata nel discorso internazionale, sebbene sia spesso violata nella pratica.
  4. Sovranità internazionale legale: si riferisce all'uguaglianza formale di tutti gli Stati nel quadro giuridico internazionale. In altre parole, tutti gli Stati, indipendentemente dalle loro dimensioni, dal loro potere o dalla loro ricchezza, sono formalmente uguali ai sensi del diritto internazionale.

Queste diverse concezioni della sovranità evidenziano la complessità del concetto di sovranità nella politica internazionale contemporanea. Esse dimostrano che la sovranità non è semplicemente la capacità di uno Stato di esercitare il potere all'interno dei propri confini, ma implica anche questioni di controllo sui movimenti transfrontalieri, di non interferenza e di uguaglianza formale tra gli Stati.

La sovranità giuridica nel contesto internazionale

La sovranità giuridica internazionale è un concetto centrale del diritto internazionale. Si riferisce al riconoscimento reciproco degli Stati come entità giuridicamente indipendenti all'interno della comunità internazionale. In altre parole, è l'accettazione da parte degli Stati della legittimità di tutti gli altri Stati come attori autonomi sulla scena internazionale. Ciò significa che ogni Stato ha il diritto di governare il proprio territorio senza interferenze esterne e che gli altri Stati devono rispettare questo diritto. Questo è ciò che si intende generalmente quando si parla di "sovranità" di uno Stato. Gli Stati hanno anche il diritto di partecipare alla vita internazionale, ad esempio firmando trattati, aderendo a organizzazioni internazionali o prendendo parte a negoziati internazionali.

Tuttavia, la sovranità giuridica internazionale non garantisce necessariamente l'effettiva capacità di uno Stato di esercitare l'autorità o il controllo sul proprio territorio (la cosiddetta "sovranità di fatto"). In molti casi, uno Stato può essere riconosciuto come legalmente sovrano ma non avere un controllo effettivo sul suo territorio o sulla sua popolazione. Ad esempio, un governo può non essere in grado di mantenere l'ordine pubblico, fornire servizi pubblici di base o difendere i propri confini da invasioni straniere. In questi casi, si parla spesso di "Stati deboli" o "Stati falliti". Allo stesso tempo, il riconoscimento internazionale può essere talvolta contestato o negato. Ad esempio, alcuni territori possono dichiararsi indipendenti e istituire un proprio governo, ma non essere riconosciuti come Stati sovrani dalla comunità internazionale. Tali territori sono spesso definiti "Stati non riconosciuti" o "Stati di fatto".

Il riconoscimento internazionale di uno Stato è spesso il risultato di processi bilaterali. Ad esempio, la Germania è stata il primo Paese a riconoscere l'indipendenza di Slovenia e Croazia nel novembre 1991, nel contesto della dissoluzione dell'ex Jugoslavia. Questo riconoscimento è stato successivamente seguito da quello di altri Paesi, portando all'integrazione di queste due nuove entità nella comunità internazionale come Stati sovrani. Il riconoscimento bilaterale è un modo per uno Stato di esprimere formalmente la propria accettazione della sovranità e dell'indipendenza di un altro Stato. In genere comporta l'instaurazione di relazioni diplomatiche e può anche aprire la strada ad accordi di cooperazione bilaterale in vari settori, come il commercio, la difesa o la cultura.

Tuttavia, il riconoscimento bilaterale non è sempre seguito da un riconoscimento multilaterale. In altre parole, il fatto che uno Stato sia riconosciuto da un altro Stato non significa necessariamente che sarà riconosciuto dalla comunità internazionale nel suo complesso. Ad esempio, alcuni Stati possono scegliere di non riconoscere un nuovo Stato a causa di disaccordi politici, dispute territoriali o considerazioni strategiche. Inoltre, il riconoscimento internazionale di uno Stato non implica necessariamente il riconoscimento da parte delle organizzazioni internazionali. Ad esempio, uno Stato può essere riconosciuto da un gran numero di Paesi, ma non essere ammesso alle Nazioni Unite a causa del veto di uno o più membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

Il riconoscimento internazionale di uno Stato ha implicazioni profonde e pratiche. Può aprire le porte a una moltitudine di opportunità e vantaggi, sia politici che finanziari. Ecco alcuni esempi:

  1. Accesso alle organizzazioni internazionali: una volta riconosciuto, uno Stato può chiedere di entrare a far parte di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l'Unione Africana, l'Unione Europea, ecc. Queste adesioni possono fornire una piattaforma per collaborare con altre nazioni, condividere preoccupazioni e prospettive e partecipare al processo decisionale globale.
  2. Flussi finanziari e di capitali: il riconoscimento internazionale può incoraggiare gli investimenti diretti esteri, l'accesso ai prestiti internazionali, gli aiuti allo sviluppo e altre forme di sostegno finanziario. Può anche facilitare il commercio internazionale aprendo la strada ad accordi commerciali bilaterali e multilaterali.
  3. Status simbolico e potere per i leader: quando uno Stato è riconosciuto a livello internazionale, i suoi leader acquisiscono una maggiore legittimità sia a livello nazionale che internazionale. Possono partecipare a vertici internazionali, negoziare trattati e rappresentare la propria nazione sulla scena mondiale.

Sebbene questi benefici siano potenzialmente significativi, il riconoscimento internazionale comporta anche delle responsabilità. Ad esempio, uno Stato riconosciuto è tenuto a rispettare i principi del diritto internazionale, come il rispetto dei diritti umani, la non aggressione e la risoluzione pacifica dei conflitti.

La sovranità westfaliana: origini e implicazioni

La sovranità westfaliana è un concetto che ha origine nei Trattati di Westfalia del 1648, che posero fine alla Guerra dei Trent'anni in Europa. Questo concetto si riferisce all'idea che ogni Stato abbia un'autorità assoluta e indiscutibile sul proprio territorio e sulla propria popolazione e che nessun altro Stato possa interferire nei suoi affari interni. Secondo questo concetto di sovranità, ogni Stato è indipendente e uguale agli altri sulla scena internazionale, indipendentemente dalle sue dimensioni o dalla sua potenza economica o militare. È questa la nozione che ha ampiamente strutturato il sistema internazionale moderno. È importante notare, tuttavia, che la sovranità westfaliana è stata modificata e messa in discussione più volte nel corso dei secoli. Dagli interventi umanitari alle organizzazioni internazionali e alle norme globali su questioni come i diritti umani e l'ambiente, varie forze hanno cercato di modulare, limitare o trasformare la sovranità westfaliana.

Il concetto di sovranità westfaliana sottolinea l'indipendenza territoriale e l'autorità esclusiva dello Stato sul proprio territorio, rifiutando qualsiasi interferenza esterna negli affari interni dello Stato. Si tratta di un principio fondamentale del diritto internazionale, come chiaramente affermato nella Carta delle Nazioni Unite. L'articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, in particolare, afferma l'uguaglianza sovrana di tutti gli Stati membri. Questo principio significa che tutti gli Stati, a prescindere dalle loro dimensioni, dalla loro ricchezza o dalla loro potenza militare, hanno gli stessi diritti e gli stessi obblighi ai sensi del diritto internazionale. Inoltre, la Carta delle Nazioni Unite sancisce anche il principio di non ingerenza, secondo il quale nessuno Stato ha il diritto di intervenire negli affari interni di un altro Stato. Questo divieto è volto a proteggere la sovranità e l'indipendenza di tutti gli Stati, grandi o piccoli che siano.

Secondo i principi della sovranità westfaliana e della Carta delle Nazioni Unite, tutti gli Stati sono uguali in termini di sovranità. Ciò significa che, a prescindere dalle dimensioni, dalla potenza economica o militare, ogni Stato ha la stessa autorità e lo stesso controllo sul proprio territorio e nessuno Stato può interferire negli affari interni di un altro. Pertanto, dal punto di vista della sovranità, gli Stati Uniti non sono più sovrani del Lussemburgo o di Malta. Ogni Stato ha piena autorità sul proprio territorio ed è libero di condurre la propria politica interna come meglio crede, senza interferenze esterne.

La sovranità westfaliana stabilisce che ogni Stato ha il diritto esclusivo di esercitare il potere e l'autorità sul proprio territorio e sulla propria popolazione, senza interferenze esterne. Ciò implica che gli Stati sono liberi di determinare le proprie politiche interne, compresi il sistema politico, l'economia, le leggi e i regolamenti, e che nessun altro Stato ha il diritto di interferire in questi affari. In altre parole, ogni Stato è considerato un'entità indipendente e autonoma, libera di agire come vuole all'interno dei propri confini, purché non violi il diritto internazionale. Questo concetto è un pilastro fondamentale dell'odierno ordine internazionale ed è sancito dalla Carta delle Nazioni Unite.

Il principio di non ingerenza è direttamente collegato alla nozione di sovranità di Westfalia. Secondo questo principio, nessuno Stato ha il diritto di intervenire negli affari interni di un altro Stato. Ciò significa che le decisioni politiche, economiche, sociali e culturali di un Paese sono di sua esclusiva responsabilità e non possono essere oggetto di interferenze o ingerenze da parte di un altro Stato. Il principio di non ingerenza è sancito anche dalla Carta delle Nazioni Unite. L'articolo 2, paragrafo 7, della Carta recita: "Nessuna disposizione della presente Carta autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che rientrano essenzialmente nella giurisdizione interna di qualsiasi Stato, né obbliga i membri a sottoporre tali questioni a una soluzione ai sensi della presente Carta". Tuttavia, va notato che esistono alcune eccezioni a questo principio, in particolare nei casi di gravi violazioni dei diritti umani o del diritto umanitario internazionale, in cui la comunità internazionale può essere autorizzata a intervenire per proteggere le persone interessate, come stabilito dalla dottrina della "Responsabilità di proteggere" adottata dalle Nazioni Unite nel 2005.

Sovranità interna: potere e autorità all'interno dei confini

La sovranità interna si riferisce alla capacità di uno Stato di mantenere l'ordine e di esercitare l'autorità all'interno dei propri confini. Questa nozione di sovranità si riferisce all'efficacia della struttura di governo, all'estensione del controllo governativo, al grado di coesione tra élite e cittadini e alla capacità di amministrare efficacemente leggi e politiche.

Questa forma di sovranità enfatizza l'autorità dello Stato sui suoi cittadini, la sua capacità di mantenere la sicurezza, di far rispettare le leggi e di attuare le politiche pubbliche. In questo senso, la sovranità interna è strettamente legata al concetto di monopolio dello Stato sull'uso legittimo della forza fisica, come definito da Max Weber.

Uno Stato è considerato pienamente sovrano internamente quando è in grado di svolgere queste funzioni in modo efficace e senza ostacoli. D'altra parte, se uno Stato non è in grado di controllare il proprio territorio, garantire l'ordine pubblico, fornire servizi di base ai propri cittadini o mantenere l'autorità del proprio governo, si può dire che la sua sovranità interna sia limitata o compromessa. Questo è spesso il caso dei cosiddetti Stati "fragili" o "falliti".

La sovranità dell'interdipendenza: un nuovo concetto in un mondo connesso

La sovranità dell'interdipendenza riguarda la capacità di uno Stato di controllare e regolare i flussi transnazionali che attraversano i suoi confini. Questi flussi possono assumere una varietà di forme, tra cui il commercio, i movimenti di capitale, le migrazioni di popolazione, la diffusione di informazioni e idee, e così via.

In un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, la nozione di sovranità interdipendente è diventata sempre più importante. L'intensificazione dei flussi transnazionali può porre sfide significative alla sovranità di uno Stato, nella misura in cui può limitare la sua capacità di controllare questi flussi e, di conseguenza, di influenzare o determinare i risultati interni. Ad esempio, la globalizzazione ha portato a una crescente interdipendenza economica tra gli Stati, con un aumento del commercio internazionale e dei flussi finanziari. Tuttavia, ciò ha creato anche sfide per la sovranità interdipendente degli Stati, che potrebbero trovarsi nell'impossibilità di controllare o regolare efficacemente questi flussi.

Lo stesso vale per il flusso di informazioni e idee, facilitato dall'avvento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Se da un lato questi flussi possono stimolare lo scambio e la condivisione di informazioni, dall'altro possono porre delle sfide in termini di regolamentazione, controllo e censura delle informazioni. La sovranità dell'interdipendenza riflette quindi le tensioni e le sfide poste dalla globalizzazione alla nozione tradizionale di sovranità statale.

Taiwan è un esempio interessante dell'applicazione di diverse nozioni di sovranità. Dal punto di vista del diritto internazionale, Taiwan non è riconosciuto come Stato sovrano dalla maggioranza della comunità internazionale, soprattutto a causa della posizione della Cina, che considera Taiwan parte del proprio territorio e si oppone fermamente a qualsiasi riconoscimento ufficiale della sua indipendenza. Tuttavia, dal punto di vista della sovranità westfaliana, Taiwan funziona come uno Stato indipendente. Ha un proprio governo, una propria costituzione, un'economia distinta, un proprio sistema giuridico e controlla efficacemente il proprio territorio e la propria popolazione. Non è sotto il controllo diretto di alcuna autorità esterna, il che è in linea con la definizione di sovranità westfaliana, che si riferisce all'esclusione di attori esterni dall'esercitare autorità su un determinato territorio. Questa situazione illustra chiaramente la complessità delle nozioni di sovranità nell'attuale sistema internazionale e come diverse concezioni di sovranità possano coesistere ed entrare in conflitto.

Uno Stato può essere riconosciuto come sovrano sulla scena internazionale, cioè con una "sovranità giuridica internazionale", ma avere una capacità limitata di esercitare un'autorità effettiva o una "sovranità interna" sul proprio territorio e sulla propria popolazione. La Somalia è un esempio di questa situazione. Sebbene sia riconosciuta come Stato sovrano dalla comunità internazionale e sia membro delle Nazioni Unite, fatica a mantenere un controllo effettivo su tutto il suo territorio e a fornire i servizi di base alla sua popolazione, a causa dei conflitti interni e della debolezza delle istituzioni governative. Ciò evidenzia come la sovranità, nella pratica, sia spesso un concetto più sfumato e complesso di quanto la sua definizione teorica possa suggerire. La sovranità di uno Stato non è sempre assoluta o incontrastata, ma può variare in base a una serie di fattori, tra cui la stabilità politica interna, la capacità istituzionale, il riconoscimento internazionale e le realtà geopolitiche.

L'Unione Europea (UE) è un esempio unico di struttura sovranazionale in cui gli Stati membri hanno volontariamente ceduto parte della loro sovranità a istituzioni comuni. Questo sistema viene spesso definito "sovranità condivisa" o "integrazione sovranazionale". Nell'UE, i Paesi membri hanno accettato di attenersi alle decisioni prese da istituzioni comuni come la Commissione europea, il Parlamento europeo e la Corte di giustizia dell'Unione europea, anche quando queste decisioni sono in contrasto con le loro politiche nazionali. Questo è noto come acquis comunitario, ovvero l'insieme di diritti e obblighi che vincolano tutti gli Stati membri dell'UE. Tuttavia, è importante notare che la sovranità non è completamente eliminata in questo sistema. Gli Stati membri dell'UE mantengono la sovranità in molti settori, tra cui la difesa e la politica estera, e hanno anche il diritto di ritirarsi dall'Unione, come ha fatto il Regno Unito con la Brexit. Il sistema dell'UE rappresenta quindi un complesso equilibrio tra sovranità nazionale e sovranità sovranazionale, in cui gli Stati membri hanno accettato di condividere parte della loro autorità a vantaggio di una più stretta cooperazione e integrazione.

Il trilemma politico dell'economia globale di Dani Rodrik è un concetto che evidenzia il conflitto intrinseco tra la globalizzazione economica, lo Stato nazionale (o sovranità nazionale) e la democrazia.[10] Secondo Rodrik, queste tre forze non possono coesistere perfettamente. Se ne abbiamo due, non possiamo avere la terza. Più precisamente:

  1. Se abbiamo la globalizzazione economica e lo Stato nazionale, allora non possiamo avere la democrazia, perché le decisioni economiche vengono prese a un livello al di fuori del controllo democratico.
  2. Se abbiamo la globalizzazione economica e la democrazia, allora non possiamo avere lo Stato nazionale perché le decisioni economiche sono prese a livello globale e trascendono i confini nazionali.
  3. Se abbiamo lo Stato nazionale e la democrazia, allora non possiamo avere la globalizzazione economica perché le decisioni economiche sono prese a livello nazionale e riflettono le preferenze democratiche, il che può portare a restrizioni sul commercio e sugli investimenti globali.

In termini di sovranità interdipendente, ciò significa che in un mondo sempre più globalizzato, lo Stato nazionale può avere difficoltà a controllare tutti gli aspetti della sua economia e della sua società, poiché è sempre più influenzato da forze esterne, come i flussi di capitali, beni, servizi e informazioni. Ciò può limitare la sua capacità di perseguire politiche pubbliche indipendenti e di rispondere alle preferenze dei suoi cittadini, il che a sua volta può avere un impatto sulla legittimità e sulla stabilità dello Stato.

L'impatto della globalizzazione

Che cos'è la globalizzazione?

Selon Held, McGrew, Goldblatt et Perraton dans leur ouvrage "Global Transformations: Politics, Economics and Culture" publié en 1999, la mondialisation est définie comme "l'élargissement, l'approfondissement et l'accélération de l'interconnexion globale".[11] Dans ce contexte, "l'élargissement" fait référence à l'extension des liens et des connexions à travers le monde, à travers les continents et les pays. C'est une indication de la portée géographique des réseaux et des systèmes de relations et d'interactions mondiales. "L'approfondissement" fait référence à l'intensification des niveaux d'interaction et d'interdépendance entre les acteurs et les systèmes à l'échelle mondiale. Cela se traduit par des liens plus étroits et plus nombreux entre les sociétés, les économies, les cultures et les institutions politiques. Enfin, "l'accélération" fait référence à l'augmentation de la vitesse des interactions et des processus mondiaux. Grâce à l'évolution des technologies de l'information et de la communication, l'information, les idées, le capital, les biens, les services et les personnes se déplacent de plus en plus rapidement à travers les frontières et les régions. En d'autres termes, la mondialisation implique une augmentation et une intensification des liens et des flux entre les pays et les régions du monde. Cela comprend le commerce, l'investissement, la migration, les échanges culturels, l'information et la technologie, ce qui, à son tour, peut avoir des effets profonds sur les économies, les sociétés, les cultures et les politiques.

L'intensification, dans le contexte de la mondialisation, est le processus par lequel les connexions et les interactions entre les pays et les entités à travers le monde se renforcent et se multiplient. Cela se manifeste à travers trois dimensions principales:

  • Élargissement: Cela implique l'extension des liens transnationaux à une échelle géographique toujours plus large, englobant de plus en plus de régions, de pays et de peuples.
  • Approfondissement: Cela fait référence à une interdépendance plus profonde entre les pays et les entités, ce qui signifie que les événements ou les changements dans un pays ou une région ont des effets plus prononcés et plus directs sur les autres. Par exemple, dans une économie mondialisée, une crise économique dans un pays majeur peut avoir des répercussions importantes sur l'économie mondiale.
  • Accélération: Cela se réfère à l'augmentation de la vitesse à laquelle les interactions et les transactions se produisent à l'échelle mondiale. Avec les progrès technologiques, en particulier dans les domaines des transports et des communications, l'information, les biens, les services et même les personnes peuvent se déplacer à travers le monde à une vitesse sans précédent.

En somme, l'intensification de la mondialisation implique une interdépendance croissante entre les pays, ce qui peut avoir des implications significatives pour l'économie, la politique, la culture, et d'autres aspects de la société à l'échelle mondiale.

L'interdépendance mondiale se manifeste de manière complexe et multidimensionnelle. La mondialisation affecte de nombreuses sphères de la vie humaine et de l'activité sociétale, créant des interdépendances à divers niveaux. Voici quelques exemples des domaines où cela se produit :

  • Économie : C'est le domaine le plus souvent associé à la mondialisation. L'interdépendance économique mondiale est mise en évidence par l'intensification du commerce international, l'expansion des multinationales, la mobilité accrue des capitaux et la prolifération des accords commerciaux internationaux.
  • Politique : La mondialisation a également accru l'interdépendance politique entre les États. Cela se manifeste par le rôle croissant des organisations internationales, le développement du droit international et la nécessité pour les pays de coopérer sur des problèmes mondiaux tels que le changement climatique, la sécurité et les droits de l'homme.
  • Sociale : La mondialisation favorise également l'interdépendance sociale à travers les flux de personnes (migration), les réseaux sociaux mondiaux, le partage de cultures et l'échange d'informations.
  • Technologie : Avec la révolution numérique, l'interdépendance technologique est devenue un aspect majeur de la mondialisation. L'internet a transformé la manière dont les informations sont partagées et consommées, et a facilité l'émergence de communautés mondiales en ligne.

Chacune de ces dimensions contribue à un monde de plus en plus interconnecté et interdépendant, où les changements dans une partie du monde peuvent avoir un impact significatif ailleurs. Cependant, il est important de noter que cette interdépendance peut aussi exacerber les inégalités et créer de nouveaux défis.

Keohane et Nye ont joué un rôle clé dans la conceptualisation de la mondialisation en termes d'interdépendance complexe, soulignant l'importance de comprendre ses dimensions multiples.[12] Voici une explication un peu plus détaillée de ces dimensions :

  • Politique : Cette dimension de la mondialisation met en évidence l'interconnexion accrue des politiques et des gouvernements à l'échelle mondiale. Par exemple, les pays coopèrent et coordonnent leurs politiques au sein d'organisations internationales comme les Nations Unies ou l'Organisation mondiale de la santé. De plus, les politiques et les lois d'un pays peuvent être influencées par des pressions internationales ou par l'adoption de normes mondiales.
  • Sociale : La mondialisation sociale met l'accent sur l'interconnexion des sociétés à travers les frontières. Cela comprend la diffusion des idées et des informations à travers les cultures, ainsi que la migration des individus. Par exemple, l'internet a permis une communication et un partage d'informations sans précédent, ce qui a conduit à une convergence culturelle à certains égards. De même, l'immigration et les voyages internationaux ont conduit à une plus grande diversité au sein des sociétés et à un mélange de cultures.
  • Économique : La mondialisation économique se réfère à l'intégration croissante des économies à travers le commerce international et les flux de capitaux. Par exemple, la libéralisation du commerce a conduit à une augmentation spectaculaire du commerce international de biens et de services. De même, la libéralisation financière a facilité les flux internationaux de capitaux, permettant aux investisseurs d'investir facilement dans des pays étrangers. Cela a conduit à une interdépendance accrue des économies, où les événements économiques dans un pays peuvent avoir un impact sur d'autres.

Chaque dimension de la mondialisation a ses propres implications et défis, et elles sont souvent interdépendantes. Par exemple, la mondialisation économique peut influencer la mondialisation sociale (par exemple, à travers les flux migratoires) et vice versa.

Qu’est-ce que la mondialisation économique ?

La mondialisation économique fait référence à l'intégration croissante des économies de différents pays à travers le monde, rendue possible par la libéralisation du commerce, les investissements étrangers directs (IED), les flux de capitaux et la migration. Elle se manifeste par une augmentation du commerce international de biens et de services, une augmentation des investissements internationaux, une plus grande interdépendance économique entre pays, et une standardisation et une homogénéisation croissante des produits et des marchés. Selon Schwartz, une caractéristique clé de la mondialisation économique est une "pression globale sur les prix". Cela signifie que, en raison de l'interconnexion accrue des marchés mondiaux, il y a une tendance à l'uniformisation des prix à l'échelle mondiale. Par exemple, si les prix d'un certain bien sont plus bas dans un pays que dans un autre, les consommateurs peuvent choisir d'acheter ce bien dans le pays où il est moins cher, ce qui exercera une pression à la baisse sur les prix dans le pays où le bien est plus cher. Cela peut se produire non seulement pour les biens physiques, mais aussi pour les services et même pour les travailleurs, dans le cas de la migration ou de l'externalisation. C'est un phénomène qui peut avoir des implications importantes pour les entreprises, les consommateurs et les travailleurs.

L'interdépendance économique entre les pays est caractérisée par des flux transnationaux de biens, de services, de capitaux et parfois de travailleurs. L'importance croissante du commerce international et des investissements directs étrangers signifie que les économies des différents pays sont de plus en plus interconnectées. Cependant, les flux économiques transfrontaliers sont également influencés par les politiques publiques mises en place par les gouvernements nationaux. Ces politiques peuvent réguler l'ouverture ou la fermeture de ces flux, par le biais de divers mécanismes tels que les tarifs, les quotas, les restrictions à l'immigration, les contrôles des capitaux, etc. Par exemple, un pays peut décider d'instaurer des tarifs douaniers pour protéger ses industries locales, ce qui pourrait réduire les importations de certains biens. De plus, les gouvernements peuvent également mettre en œuvre des politiques destinées à attirer les investissements étrangers, par exemple en offrant des incitations fiscales ou en créant des zones économiques spéciales. Cela signifie que, bien que l'interdépendance économique soit une caractéristique majeure de la mondialisation, elle est également influencée par les décisions politiques prises au niveau national. Ainsi, la mesure dans laquelle un pays est intégré dans l'économie mondiale dépend à la fois de facteurs économiques et politiques.

L'indice de mondialisation KOF est un indice élaboré par l'Institut fédéral suisse de technologie de Zurich (ETH Zurich) qui mesure le degré de mondialisation de différents pays. Il utilise une vaste gamme de données, couvrant 24 variables individuelles dans trois catégories principales : économique, sociale et politique.

  • La mondialisation économique est mesurée en fonction de la taille des flux commerciaux et financiers d'un pays par rapport à son économie, ainsi que des restrictions à ces flux.
  • La mondialisation sociale est mesurée à partir de données sur les contacts personnels (tels que les appels téléphoniques internationaux et les transferts de fonds), les informations (accès à Internet et à la télévision) et les attitudes culturelles.
  • La mondialisation politique est évaluée en fonction du degré d'implication d'un pays dans les relations internationales, par exemple sa participation aux organisations internationales, aux missions de maintien de la paix de l'ONU et aux traités internationaux.

L'indice KOF est mis à jour annuellement, ce qui permet de suivre les tendances de la mondialisation sur plusieurs décennies. Il fournit un outil utile pour comparer le degré de mondialisation entre différents pays et pour analyser comment la mondialisation change avec le temps.

L'indice de mondialisation politique de l'indice KOF mesure l'intégration d'un pays dans le monde politique international en utilisant plusieurs indicateurs, qui se répartissent comme suit :

  1. Le nombre d'ambassades dans un pays (25%) : cela reflète le degré d'engagement politique international d'un pays, indiquant combien d'autres pays maintiennent des relations diplomatiques officielles avec lui.
  2. L'appartenance à des organisations internationales (28%) : cette mesure donne une idée de l'implication d'un pays dans les affaires mondiales par le biais de son adhésion à diverses organisations internationales. Plus un pays est membre d'organisations, plus il est considéré comme intégré sur le plan politique.
  3. Participation aux missions du Conseil de sécurité de l'Organisation des Nations Unies (22%) : cela montre la volonté et la capacité d'un pays à contribuer à la sécurité internationale, notamment en fournissant des troupes ou du soutien logistique aux missions de maintien de la paix de l'ONU.
  4. Le nombre de traités internationaux signés (25%) : cela reflète le niveau d'engagement d'un pays envers les normes et les règles internationales. Un pays qui a signé un grand nombre de traités est considéré comme plus engagé dans le système international.

Ces quatre dimensions de la mondialisation politique fournissent une vue d'ensemble de la mesure dans laquelle un pays est intégré dans le système politique mondial.

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L'indice KOF de mondialisation sociale se concentre sur l'intégration d'un pays dans le monde social et culturel international. Il utilise divers indicateurs, qui se répartissent comme suit :

  1. Données de contacts personnels (33%) : Il s'agit de mesures telles que le trafic téléphonique international, le tourisme international, la population étrangère et le nombre de lettres internationales par habitant. Ces mesures reflètent le degré de communication et d'interaction entre les personnes de différents pays.
  2. Données de flux d'information (36%) : Cet indicateur mesure le degré d'information internationale qui circule à travers les frontières d'un pays. Il comprend des mesures telles que le nombre d'utilisateurs d'Internet et de télévisions par 1'000 habitants, ainsi que la part du commerce de journaux dans le PIB.
  3. Données de proximité culturelle (31%) : Cette mesure reflète l'adoption de certaines formes de culture de consommation mondialisées. Il s'agit notamment du nombre de restaurants McDonald's et de magasins Ikea par habitant, ainsi que la part du commerce de livres dans le PIB.

En utilisant ces trois groupes d'indicateurs, l'indice KOF de mondialisation sociale donne une image du degré d'intégration d'un pays dans la communauté mondiale au-delà des dimensions purement économiques ou politiques. Il montre comment la mondialisation se manifeste dans la vie quotidienne des personnes, que ce soit par la communication, l'information ou la culture de consommation.

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L'indice KOF de la mondialisation économique se concentre sur la mesure du degré d'intégration économique d'un pays dans l'économie mondiale. Il utilise divers indicateurs, répartis en deux grandes catégories :

  1. Flux (50%) : Cette catégorie comprend des mesures telles que le commerce international en pourcentage du PIB, les flux d'investissements directs étrangers (IDE) en pourcentage du PIB, les stocks d'IDE en pourcentage du PIB, les investissements de portefeuille en pourcentage du PIB et les paiements de revenus aux étrangers en pourcentage du PIB. Ces indicateurs mesurent le degré de connexion et d'interdépendance d'une économie nationale avec le reste du monde.
  2. Restrictions (50%) : Cette catégorie comprend des mesures telles que les tarifs douaniers moyens, les obstacles aux importations, les taxes sur le commerce international en pourcentage du revenu et les restrictions sur les comptes de capital. Ces indicateurs évaluent le niveau de protectionnisme d'une économie, c'est-à-dire le degré de restriction à la libre circulation des biens, des services et des capitaux.

En combinant ces deux types d'indicateurs, l'indice KOF de la mondialisation économique donne une vue d'ensemble du degré d'ouverture et d'interdépendance d'une économie avec le reste du monde. Il permet de comprendre à quel point une économie est intégrée dans l'économie mondiale, tant en termes de flux économiques que de politiques commerciales et financières.

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Le Trilemme de l’économie mondiale : analyse des choix économiques

Dani Rodrik.

Le livre "Le paradoxe de la mondialisation" de Dani Rodrik est une analyse approfondie des dilemmes et des conflits que pose la mondialisation pour les démocraties nationales.[13] Rodrik est un économiste réputé, professeur à l'Université de Harvard, et connu pour ses contributions significatives aux débats sur l'économie internationale, la mondialisation, et le développement.

Dans son ouvrage, Rodrik présente son fameux "trilemme de la mondialisation". Selon lui, la démocratie, la souveraineté nationale et l'intégration économique mondiale sont mutuellement incompatibles : nous ne pouvons combiner les trois simultanément. Nous pouvons avoir au maximum deux des trois à la fois.

Voici comment le trilemme fonctionne :

  1. Si nous voulons avoir à la fois l'intégration économique mondiale et la souveraineté nationale, nous devons abandonner la démocratie.
  2. Si nous voulons avoir à la fois la démocratie et la souveraineté nationale, nous devons renoncer à l'intégration économique mondiale.
  3. Et si nous voulons avoir à la fois l'intégration économique mondiale et la démocratie, nous devons abandonner la souveraineté nationale.

Dans son livre, Rodrik soutient que nous ne pouvons pas avoir à la fois hypermondialisation, souveraineté nationale et démocratie robuste. Nous devons faire un choix parmi ces trois. Selon lui, les tentatives pour pousser la mondialisation à son maximum ont sapé la souveraineté nationale et la démocratie, conduisant à une réaction populiste contre la mondialisation que nous voyons dans de nombreux pays. Il plaide pour une mondialisation plus modérée qui respecte les droits des nations à se protéger contre les forces du marché mondial.

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Le trilemme de l'économie mondiale, tel que présenté par Dani Rodrik dans le chapitre IX de son livre, "Le paradoxe de la mondialisation", repose sur l'idée qu'il est impossible de concilier simultanément l'hyperglobalisation, la démocratie et la souveraineté nationale. Voici comment il développe cette idée :

  1. Hyperglobalisation : c'est le fait de favoriser une intégration économique globale, sans entraves, qui permet la libre circulation des biens, des services et des capitaux à travers les frontières internationales. Cette libre circulation est facilitée par les traités commerciaux internationaux et l'adhésion à des organisations économiques supranationales.
  2. État-nation : c'est le principe selon lequel une entité politique, un pays, a la souveraineté sur son territoire et sa population, et est libre de prendre ses propres décisions politiques et économiques. L'État-nation est responsable du bien-être de ses citoyens et a le pouvoir de réguler son économie comme il le juge approprié.
  3. Politiques démocratiques : ce sont des décisions prises par un gouvernement qui est représentatif de la volonté du peuple, comme c'est le cas dans une démocratie. Dans un tel système, les citoyens ont un droit de vote et de participation directe ou indirecte dans la formulation des politiques publiques.

Rodrik argumente qu'il est impossible de combiner pleinement ces trois éléments. On ne peut avoir une hyperglobalisation (une intégration économique complète) tout en préservant la pleine souveraineté de l'État-nation et en maintenant des politiques démocratiques. Si un pays choisit l'hyperglobalisation, il doit sacrifier soit la souveraineté nationale (en laissant les décisions économiques importantes être dictées par les forces du marché mondial ou par des institutions économiques supranationales), soit la démocratie (en limitant la capacité des citoyens à influencer les politiques économiques par le vote).

Rodrik suggère donc que dans une économie mondiale, nous ne pouvons atteindre simultanément l'hyper-globalisation (c'est-à-dire une intégration économique maximale), la démocratie (la capacité des citoyens de participer à la prise de décisions politiques de leur pays) et l'État-nation (la capacité d'un pays à mettre en œuvre des politiques indépendantes pour le bien de ses citoyens). Selon lui, la poursuite de la mondialisation entraîne une tension entre la démocratie et la souveraineté de l'État-nation. Si un pays veut profiter pleinement des avantages économiques de la mondialisation, il peut devoir renoncer à une certaine souveraineté politique, se pliant à des règles et des normes internationales qui peuvent ne pas correspondre aux préférences de ses citoyens. Inversement, si un pays tient à la démocratie et à la souveraineté de l'État-nation, il peut devoir limiter son intégration dans l'économie mondiale pour maintenir le contrôle sur sa politique économique et sociale. C'est ce que Rodrik appelle le "trilemme" de l'économie mondiale, qui souligne la complexité et les défis auxquels sont confrontés les pays dans la gestion de leur intégration dans une économie mondiale de plus en plus interconnectée.

La politique démocratique est profondément liée à la souveraineté d'interdépendance, comme le suggère Stephen Krasner. La souveraineté d'interdépendance décrit la capacité d'un État à contrôler ou à réguler les flux transnationaux (personnes, biens, capitaux, informations, etc.) à travers ses frontières. En substance, cela signifie qu'un État a le contrôle sur la manière dont il interagit avec les autres États et avec les forces du marché mondial. Dans une démocratie, les citoyens devraient idéalement avoir une voix dans la façon dont leur pays gère ces flux internationaux, que ce soit par le biais d'élections, de la liberté d'expression, ou d'autres moyens de participation politique. Cependant, comme le souligne Rodrik dans son trilemme de l'économie mondiale, cette souveraineté d'interdépendance peut être compromise lorsque les États s'efforcent d'intégrer davantage leurs économies avec celles d'autres pays - une tendance souvent associée à la mondialisation. En d'autres termes, la pression pour s'intégrer plus profondément dans l'économie mondiale - et en particulier à se conformer aux normes et aux règles internationales qui facilitent cette intégration - peut limiter la capacité d'un État à mettre en œuvre des politiques indépendantes qui reflètent les préférences de ses citoyens. Cela peut, à son tour, créer des tensions avec les principes démocratiques.

L'époque de Bretton Woods (des années 1940 aux années 1970) est un exemple parfait de ce que Rodrik décrit comme un équilibre entre l'État-nation et la politique démocratique, avec un contrôle plus limité de l'hypermondialisation. La conférence de Bretton Woods en 1944 a établi les bases d'un nouvel ordre économique mondial après la Seconde Guerre mondiale. Les accords de Bretton Woods ont créé des institutions financières internationales comme le Fonds Monétaire International (FMI) et la Banque Mondiale pour promouvoir la stabilité monétaire et économique mondiale. De plus, le GATT (Accord Général sur les Tarifs Douaniers et le Commerce) a été établi pour promouvoir le libre-échange à travers la réduction des barrières tarifaires. Cependant, même avec cette intégration économique croissante, les États conservaient encore une grande marge de manœuvre pour mener des politiques économiques nationales. Les contrôles de capitaux, par exemple, étaient largement acceptés. De plus, de nombreux États ont mis en place des politiques de bien-être social, de plein emploi et d'industrialisation qui reflétaient leurs priorités nationales spécifiques. En d'autres termes, pendant la période de Bretton Woods, la mondialisation était souvent vue comme un moyen d'atteindre des objectifs nationaux, plutôt que comme une fin en soi. Cela contraste avec l'époque de la mondialisation qui a suivi, où l'intégration économique internationale est devenue de plus en plus une priorité en soi, souvent au détriment de la politique démocratique et de l'État-nation.

Pendant la période de Bretton Woods, les gouvernements utilisaient fréquemment des politiques de contrôle des capitaux et de tarifs douaniers pour protéger leurs économies nationales. Ces mesures étaient utilisées pour contrôler le mouvement des capitaux à travers les frontières, préserver la stabilité financière, protéger les industries nationales naissantes et maintenir l'emploi. Ces contrôles étaient également utilisés pour éviter les crises économiques qui pourraient découler de mouvements de capitaux spéculatifs ou instables. En contrôlant les flux de capitaux, les pays pouvaient souvent maintenir une plus grande stabilité dans leurs taux de change, ce qui était essentiel pour la gestion de leurs économies. Cependant, à mesure que le monde s'est déplacé vers une mondialisation plus poussée à partir des années 1970 et 1980, de nombreux pays ont commencé à lever ces contrôles et à ouvrir leurs économies aux flux de capitaux internationaux. Cela a conduit à une plus grande intégration économique mondiale, mais a également posé de nouveaux défis en termes de gestion de la stabilité économique et de protection des industries et des travailleurs nationaux.

Selon Dani Rodrik, la fin des années 1970 a marqué un tournant vers la libéralisation des politiques commerciales et financières dans de nombreux pays. Cette période, parfois appelée "l'âge de la mondialisation", a vu un déclin général des barrières tarifaires et non tarifaires, une libéralisation financière accrue et une intensification des échanges commerciaux et des investissements directs étrangers. Cependant, contrairement à certaines attentes, cette mondialisation économique n'a pas conduit à un affaiblissement généralisé de l'État-nation. En effet, malgré l'intégration économique croissante, les États-nations ont continué à jouer un rôle central dans la gouvernance de leurs économies. Ils sont restés des acteurs clés dans la régulation des marchés, la fourniture de biens publics, la protection sociale, la gestion macroéconomique et la mise en œuvre des politiques environnementales, entre autres. Cependant, Rodrik soutient que cette intensification de la mondialisation a créé des tensions entre l'État-nation et les impératifs de l'intégration économique mondiale, donnant lieu à ce qu'il appelle le "trilemme de la mondialisation". Selon lui, il est impossible de concilier pleinement l'hyper-globalisation, la souveraineté de l'État-nation et la démocratie; on ne peut avoir que deux des trois à la fois.

Dani Rodrik souligne dans son travail que l'une des façons de résoudre le trilemme de la mondialisation serait de dépasser le cadre de l'État-nation et de développer des structures supranationales de gouvernance. En d'autres termes, les États-nations pourraient transférer une partie de leur souveraineté à des institutions internationales ou supranationales afin de pouvoir réguler de manière plus efficace l'économie mondiale. Cela pourrait potentiellement permettre de concilier les trois aspects du trilemme : une économie mondialisée, la démocratie et la régulation. En effet, une gouvernance mondiale renforcée pourrait aider à encadrer la mondialisation de manière à ce qu'elle respecte davantage les principes démocratiques et sociaux. Un exemple de ce type de gouvernance supranationale est l'Union européenne, qui exerce certaines compétences auparavant dévolues aux États membres. Cependant, la mise en œuvre de ce type de gouvernance présente des défis majeurs, notamment en termes de légitimité démocratique et d'équité. Il convient également de noter que cette approche ne fait pas l'unanimité et que de nombreux acteurs et analystes sont préoccupés par les implications potentielles d'une telle dévolution de la souveraineté, en particulier en ce qui concerne l'érosion potentielle de la démocratie et de l'autonomie nationale.

L'importance de la Gouvernance en politique

La Commission sur la Gouvernance Mondiale a formulé une définition éloquente de la gouvernance. Elle la perçoit comme l'accumulation des différentes méthodes par lesquelles les individus et les institutions, qu'ils soient du domaine public ou privé, administrent leurs affaires collectives. Selon elle, la gouvernance est un processus constant où les divergences ou les conflits d'intérêts peuvent être harmonisés, et où des actions coopératives peuvent être engagées.

C'est une définition de la gouvernance globale proposée par la Commission on Global Governance dans son rapport de 1995, "Our Global Neighborhood". Pour paraphraser, la gouvernance globale est l'ensemble des multiples manières dont les individus et les institutions, qu'elles soient publiques ou privées, gèrent leurs affaires communes. C'est un processus continu qui permet de prendre en compte des intérêts conflictuels ou diversifiés, et d'entreprendre des actions coopératives. En d'autres termes, la gouvernance globale est une sorte de collaboration entre différents acteurs (y compris les États, les organisations internationales, les entreprises, les groupes de la société civile et les individus) pour traiter des problèmes qui dépassent les frontières nationales et qui nécessitent une coopération internationale. Cette définition met en évidence deux caractéristiques essentielles de la gouvernance globale : la diversité des acteurs impliqués et l'importance du consensus et de la coopération. La gouvernance globale n'est pas seulement l'affaire des États ou des organisations internationales officielles, mais implique aussi des acteurs non étatiques. De plus, elle nécessite la recherche d'un consensus et une volonté d'agir de manière coopérative pour résoudre les problèmes communs.

L'une des critiques avancées est que la gouvernance fait intervenir une multitude d'acteurs, y compris des individus et des institutions. En outre, la gouvernance n'est plus uniquement du ressort de l'autorité publique : des acteurs privés s'impliquent également pour résoudre les conflits d'intérêts et trouver des solutions de coopération internationale face à des enjeux majeurs et des divergences d'intérêts variées au niveau des États-nations.

La gouvernance globale fait intervenir une multitude d'acteurs. Cela inclut non seulement les gouvernements nationaux, mais également des individus et des institutions à la fois publiques et privées. Ces acteurs peuvent être des organisations non gouvernementales, des entreprises multinationales, des institutions financières internationales comme le FMI ou la Banque mondiale, et même des individus influents. Chacun de ces acteurs a ses propres intérêts et priorités, ce qui peut entraîner des conflits. Par exemple, une entreprise multinationale peut privilégier la maximisation des profits, ce qui pourrait entrer en conflit avec les objectifs de développement durable d'une organisation non gouvernementale. De même, les priorités d'un gouvernement national pourraient entrer en conflit avec les directives d'une institution financière internationale. Cependant, dans le cadre de la gouvernance globale, ces acteurs variés travaillent ensemble pour gérer leurs affaires communes. Ils doivent négocier, coopérer et parfois faire des compromis pour résoudre les problèmes mondiaux. Cette interaction continue permet d'accommoder les intérêts conflictuels et divers.

Il est important de noter que ce n'est pas seulement le domaine de l'autorité publique. De nombreux acteurs privés ont également un rôle à jouer dans la gouvernance globale. Par exemple, les entreprises multinationales peuvent aider à résoudre les problèmes mondiaux en adoptant des pratiques durables et éthiques. De même, les individus peuvent contribuer en faisant des choix éclairés en matière de consommation et en participant à des mouvements de défense des droits de l'homme ou de l'environnement. Cependant, la participation de ces acteurs privés à la gouvernance globale soulève également des questions de responsabilité et de légitimité. Par exemple, qui tient ces acteurs privés responsables de leurs actions ? Quelle est leur légitimité pour participer à la prise de décision au niveau mondial ? Ces questions sont au cœur des débats sur la gouvernance globale.

La gouvernance et le gouvernement sont deux concepts distincts, bien qu'ils soient parfois utilisés de manière interchangeable.

  • Le gouvernement se réfère généralement à l'ensemble des institutions et des individus officiellement investis de l'autorité politique dans un État. Cela inclut typiquement le chef de l'État, le cabinet, le législatif, le judiciaire et les bureaucraties publiques. Le gouvernement a le pouvoir de faire des lois, de les appliquer et de les interpréter, souvent dans le cadre d'une constitution. C'est l'entité qui exerce le pouvoir souverain au nom du peuple dans une nation.
  • La gouvernance, quant à elle, est un terme plus large qui se réfère à toutes les méthodes, processus et institutions, tant formelles qu'informelles, par lesquelles une société est dirigée. Cela comprend non seulement le gouvernement, mais aussi une variété d'autres acteurs, comme les organisations non gouvernementales, les entreprises privées, et même des individus influents. La gouvernance implique la manière dont le pouvoir est exercé, comment les décisions sont prises et mises en œuvre, comment les conflits sont résolus, et comment les ressources sont gérées dans une société.

De plus, alors que le gouvernement est généralement limité à une juridiction spécifique, comme un pays ou une ville, la gouvernance peut s'appliquer à une multitude d'échelles, de la gouvernance locale à la gouvernance globale. Cela comprend la façon dont les problèmes transnationaux, comme le changement climatique ou la migration, sont gérés au-delà des frontières nationales.

La gouvernance, dans un contexte moderne et surtout global, implique une multitude d'acteurs qui ne sont pas strictement limités à l'État-nation traditionnel. Dans ce contexte, l'État, bien qu'il détienne toujours le monopole de la violence légitime au sein de ses frontières, devient une entité parmi d'autres dans un réseau de pouvoir plus vaste et plus complexe. Ces autres entités peuvent inclure des organisations internationales comme l'ONU ou l'OMC, des organisations non gouvernementales comme Médecins Sans Frontières ou Greenpeace, des multinationales et des grandes entreprises, et même des individus influents et des groupes de réflexion. Ces acteurs peuvent tous exercer un certain degré de pouvoir et d'influence sur la façon dont les affaires mondiales sont gérées.

De plus, dans certains cas, ces acteurs peuvent même exercer un pouvoir similaire à celui de l'État. Par exemple, certaines grandes entreprises peuvent avoir une influence économique considérable, et certaines organisations non gouvernementales peuvent avoir un impact important sur les politiques sociales et environnementales. Cela dit, bien que l'État ne soit plus le seul acteur sur la scène internationale, il reste un acteur majeur et important. Même dans un monde de plus en plus globalisé, les États conservent un pouvoir significatif en matière de politique intérieure, de défense et de politique étrangère, et ils jouent un rôle crucial dans la formation et la mise en œuvre de la gouvernance mondiale.

La gouvernance moderne est beaucoup plus complexe et implique une variété d'acteurs qui dépassent le cadre traditionnel de l'État-nation. Ces acteurs peuvent influencer les politiques à différents niveaux et de différentes manières. Voici une expansion sur les types d'acteurs :

  • Firmes transnationales : Ces entreprises, qui opèrent dans plusieurs pays, jouent un rôle de plus en plus important dans la gouvernance mondiale. En raison de leur taille et de leur influence économique, elles peuvent façonner les politiques par le biais du lobbying ou par des initiatives directes. Par exemple, elles peuvent promouvoir des normes de travail équitables dans leurs chaînes d'approvisionnement ou s'engager à réduire leurs émissions de carbone.
  • Organisations non gouvernementales (ONG) : Les ONG peuvent exercer une influence significative sur la gouvernance à plusieurs niveaux. Elles peuvent faire pression sur les gouvernements pour qu'ils changent leurs politiques, aider à la mise en œuvre de programmes et de services, et apporter une expertise technique et des connaissances locales qui peuvent orienter les décisions politiques.
  • Mouvements sociaux : Les mouvements sociaux peuvent agir comme des moteurs de changement en rassemblant des individus et des groupes autour de causes communes. Ils peuvent influencer la gouvernance en faisant pression pour des changements politiques, en sensibilisant le public à des problèmes spécifiques, et en contribuant à façonner le débat public.
  • Organisations internationales : Ces organisations, telles que l'ONU, le FMI et la Banque mondiale, jouent un rôle clé dans la gouvernance mondiale. Elles aident à coordonner la coopération internationale, à établir des normes et des règles communes, et à fournir des forums pour la résolution des conflits. Même si elles sont souvent guidées par les intérêts des États membres, elles peuvent aussi exercer une influence indépendante et contribuer à la formation des normes et des politiques internationales.

Dans l'ensemble, ces acteurs contribuent à la complexité et à la dynamique de la gouvernance dans le monde contemporain, en témoignant de l'interconnexion croissante des sociétés et des défis mondiaux.

La gouvernance à la fois nationale et internationale est façonnée par une multitude d'acteurs, chacun apportant sa propre perspective et son influence. C'est un processus complexe qui dépasse le cadre traditionnel des frontières nationales et des gouvernements nationaux. Au niveau national, les firmes transnationales, les organisations non gouvernementales et les mouvements sociaux peuvent influencer les politiques et les pratiques. Ils peuvent faire pression sur les gouvernements pour qu'ils adoptent certaines politiques, fournir des services qui complètent ou remplacent ceux de l'État, ou façonner le discours public autour de questions particulières. Au niveau international, ces mêmes acteurs, ainsi que les organisations internationales, jouent un rôle important dans la formation des normes, des politiques et des pratiques mondiales. Ils peuvent aider à coordonner la coopération internationale, établir des normes communes et fournir des forums pour la résolution des conflits. Dans ce contexte, l'État-nation reste un acteur important, mais il n'est plus le seul détenteur de l'autorité. La gouvernance est de plus en plus définie par l'interaction de ces différents acteurs, chacun apportant sa propre contribution au processus de prise de décision.

James Rosenau et Ernst-Otto Czempiel, deux chercheurs reconnus en relations internationales, ont présenté l'idée de la "gouvernance sans gouvernement" pour décrire la nature de la politique mondiale actuelle. Dans ce concept, ils soulignent l'absence d'un gouvernement mondial centralisé, à la différence de ce que l'on observe à l'échelle nationale. Dans ce contexte, aucun acteur unique n'a le pouvoir de faire respecter les lois ou les règles à l'échelle mondiale. La gouvernance mondiale se manifeste plutôt par un réseau complexe d'acteurs et d'institutions - États, organisations internationales, organisations non gouvernementales, entreprises multinationales, etc. - qui travaillent ensemble, souvent de manière informelle, pour gérer les problèmes mondiaux. Cette forme de gouvernance repose sur la coopération, la négociation et le consensus plutôt que sur la contrainte. Elle peut également impliquer des processus d'autorégulation, dans lesquels les acteurs établissent et respectent volontairement certaines normes ou règles. Cependant, la gouvernance sans gouvernement présente aussi des défis, notamment en ce qui concerne la responsabilité et la légitimité. Par exemple, il peut être difficile de tenir les acteurs responsables de leurs actions à l'échelle mondiale, en particulier lorsque les structures de pouvoir sont décentralisées et que les acteurs ont des intérêts divergents.

La structure politique de la Suisse est basée sur un système fédéral. Dans ce système, le pays est divisé en cantons, chacun ayant son propre gouvernement et sa propre constitution. Cependant, les cantons sont soumis à l'autorité du gouvernement fédéral qui siège à Berne. Les cantons suisses ont une certaine autonomie et peuvent légiférer dans certains domaines, tels que l'éducation, la santé, et certaines taxes. Cependant, le gouvernement fédéral a le pouvoir final dans de nombreux domaines clés, tels que la défense, les affaires étrangères, et la politique monétaire. Dans cet arrangement, la Confédération, les cantons et les communes ont chacun des compétences et des responsabilités clairement définies. Ce partage des pouvoirs permet d'assurer un équilibre entre l'autonomie régionale et l'unité nationale, ce qui est une caractéristique clé des systèmes fédéraux. Par conséquent, l'autorité politique du canton de Genève, bien qu'elle soit importante pour la gestion des affaires locales, est soumise à l'autorité du gouvernement fédéral suisse pour les questions qui relèvent de la compétence de ce dernier.

Sur le plan international, la souveraineté des nations est une des pierres angulaires de la politique mondiale. L'absence d'une autorité mondiale suprême signifie que les États sont souverains et sont libres de prendre leurs propres décisions. Cela est fondamentalement ancré dans le système international actuel qui est basé sur le principe de non-ingérence dans les affaires internes d'un État. Toutefois, il existe des organisations internationales, comme les Nations Unies (ONU), qui cherchent à faciliter la coopération et la coordination entre les nations. Ces organisations peuvent émettre des recommandations et définir des normes internationales, mais elles n'ont pas le pouvoir de contraindre les États à suivre ces recommandations ou à respecter ces normes. Le respect de ces normes est généralement basé sur le consentement volontaire des États. Il y a cependant certaines exceptions à ce principe, notamment lorsque la sécurité internationale est en jeu. Par exemple, le Conseil de sécurité de l'ONU a le pouvoir d'autoriser des sanctions ou l'usage de la force contre un État qui viole le droit international. Cependant, même dans ces cas, la mise en œuvre de ces décisions repose sur la volonté des États membres de l'ONU. En somme, bien qu'il existe une certaine forme de gouvernance internationale, l'absence d'un gouvernement mondial signifie que chaque État maintient sa souveraineté sur ses propres affaires.

L'absence de gouvernement mondial est souvent caractérisée comme étant un état d'"anarchie" dans la théorie des relations internationales. Ce terme "anarchie" est utilisé non pas au sens courant de désordre ou de chaos, mais pour décrire un système dans lequel il n'y a pas d'autorité supérieure qui peut imposer ses décisions aux unités constitutives du système. En d'autres termes, chaque État est souverain et libre de poursuivre ses propres intérêts comme il le juge bon, sans avoir à rendre des comptes à une autorité supérieure. Les chercheurs qui adhèrent à l'école de pensée réaliste en relations internationales considèrent l'anarchie comme une caractéristique fondamentale et inévitable du système international. Selon eux, cette anarchie crée un environnement de compétition et de méfiance, dans lequel les États doivent principalement compter sur leur propre pouvoir pour assurer leur sécurité et promouvoir leurs intérêts.

L'avenir de la politique : la Gouvernance multiniveaux

La gouvernance multiniveaux se réfère à l'idée que l'autorité et la prise de décision sont réparties à travers plus d'un niveau de gouvernement - local, régional, national et supranational. C'est un concept souvent utilisé dans le contexte de l'Union européenne, où la prise de décision est partagée entre les différents niveaux de gouvernement. Ce concept capture l'idée que la prise de décision politique n'est pas seulement l'apanage du gouvernement national, mais implique aussi des autorités à différents niveaux. Ces niveaux peuvent varier de l'échelle locale à l'échelle globale, et inclure des entités telles que les gouvernements municipaux, les régions, les organisations non gouvernementales, les entreprises et les institutions internationales.

Dans une perspective de gouvernance multiniveaux, les problèmes politiques sont souvent perçus comme nécessitant une approche multi-acteurs et multi-niveaux. Cela peut nécessiter la coordination et la coopération entre différents niveaux de gouvernement, ainsi qu'entre le secteur public et le secteur privé. L'objectif de la gouvernance multiniveaux est de rapprocher les décisions politiques des citoyens, de renforcer la démocratie et d'augmenter l'efficacité des politiques publiques. Cependant, la mise en œuvre de la gouvernance multiniveaux peut également être un défi, car elle nécessite une coordination et une coopération étroites entre différents acteurs et niveaux de gouvernement.

sources : [14]

La souveraineté de l'État-nation est un concept central en politique internationale. Il décrit l'autorité suprême de l'État-nation à l'intérieur de ses frontières territoriales. Cette autorité peut être exercée sans ingérence extérieure, à moins qu'elle ne soit volontairement partagée ou déléguée à travers des accords internationaux ou des organismes supranationaux.

Historiquement, l'État-nation a été l'unité principale de gouvernance et le détenteur du monopole de la violence légitime dans son territoire. Cependant, avec la mondialisation et l'augmentation des interdépendances économiques, sociales et politiques, la souveraineté de l'État-nation est de plus en plus mise en question. Il y a une complexité croissante des relations internationales avec la présence d'acteurs non étatiques tels que les organisations internationales, les organisations non gouvernementales, les entreprises multinationales et même des individus qui peuvent exercer une influence significative sur la scène mondiale.

Dans le contexte de la gouvernance multiniveaux, l'État-nation n'est plus la seule autorité compétente. Il partage désormais cette compétence avec d'autres niveaux de gouvernement, notamment local, régional et supranational. Ainsi, l'autorité politique ne se limite plus aux frontières nationales, mais s'étend à travers les différents niveaux de gouvernement, ce qui soulève de nouvelles questions sur l'exercice de la souveraineté dans l'ère moderne.

La mondialisation a engendré une reconfiguration significative de la souveraineté traditionnellement détenue par l'État-nation. Ce phénomène peut être analysé à travers ces quatre axes de déplacement de l'autorité :

  • Vers le haut : Dans ce processus, l'État-nation cède une partie de son autorité aux organisations internationales. Cela est souvent fait pour atteindre des objectifs communs qui sont plus efficacement gérés à l'échelle mondiale. Par exemple, en rejoignant les Nations Unies, un pays accepte d'adhérer à une série de règles et de normes internationales, ce qui limite sa souveraineté dans certaines matières.
  • Vers le bas : Ici, l'État-nation délègue certaines de ses responsabilités aux gouvernements infranationaux, tels que les régions ou les municipalités. Ce processus peut aider à répondre de manière plus efficace et adaptée aux besoins et particularités locales.
  • Latéralement : Ce mouvement décrit le transfert d'autorité vers des acteurs transnationaux non étatiques, tels que les entreprises multinationales ou les organisations non gouvernementales. Ces entités peuvent exercer un pouvoir important à l'échelle mondiale, influençant les décisions politiques et économiques.
  • Vers la droite : Ce déplacement se réfère à la délégation d'autorité vers des entités régionales intégrées qui transcendent les frontières nationales. On peut penser à des blocs économiques et politiques tels que l'Union européenne ou le Mercosur. Cette intégration régionale permet souvent une coordination plus efficace et un poids accru sur la scène internationale.

Chacun de ces mouvements illustre une transformation significative de la gouvernance à l'ère de la mondialisation, où l'État-nation n'est plus l'unique détenteur de la souveraineté et où une plus grande coopération et coordination sont nécessaires pour répondre aux défis mondiaux.

La notion d'autorité est plus complexe et fragmentée que jamais dans le contexte de la mondialisation. La gouvernance n'est plus uniquement le domaine des acteurs étatiques mais implique désormais une multitude d'acteurs privés qui jouent un rôle crucial dans la conduite des affaires mondiales. Des entreprises multinationales aux organisations non gouvernementales, en passant par des groupes d'intérêt divers, ces acteurs privés sont souvent en mesure d'influencer les politiques et les normes à l'échelle mondiale. Ils peuvent ainsi contribuer à la formation de règles internationales, à la résolution de conflits et à la promotion de divers objectifs globaux, tels que le développement durable, les droits de l'homme, la sécurité, etc. Il est également important de noter que ces acteurs privés ont des intérêts variés et parfois divergents, ce qui peut créer des défis de coordination et de responsabilité. En outre, leur pouvoir croissant soulève également des questions importantes concernant la légitimité et la transparence de leurs actions.

Dans ce contexte, le concept de gouvernance a évolué pour englober ces nouvelles dynamiques. La gouvernance globale est donc de plus en plus comprise comme un processus complexe et multidimensionnel qui implique une diversité d'acteurs et d'institutions, opérant à différents niveaux, du local au global, et dans divers secteurs, du public au privé.

La gouvernance multiniveaux est un phénomène complexe qui est marqué par plusieurs caractéristiques clés :

  1. Prise de décisions partagée : La première caractéristique est que les décisions politiques sont prises par diverses entités situées à différents niveaux politiques. Cela peut comprendre des entités locales, régionales, nationales, supra-nationales et mondiales. Chaque niveau de gouvernance peut avoir son propre ensemble de compétences et de responsabilités, et la prise de décision est souvent le résultat d'un processus de négociation et de coordination entre ces différents niveaux.
  2. Interactions réciproques : Une deuxième caractéristique est que les influences entre les différents niveaux de gouvernance ne sont pas unilatérales, mais réciproques. Autrement dit, les développements à un niveau peuvent avoir un impact significatif sur les autres niveaux, et vice versa. Par exemple, une décision prise au niveau national peut influencer les politiques au niveau local, mais les initiatives locales peuvent également façonner les politiques nationales.
  3. Types divers de régulations et partenariats : Enfin, la gouvernance multiniveaux comprend différents types de régulations et de partenariats. Cela peut inclure des arrangements de coopération formels et informels entre entités publiques et privées, tels que les partenariats public-privé, ainsi que divers mécanismes de régulation qui peuvent aller de la réglementation directe par l'État à la gouvernance par le marché.

En somme, la gouvernance multiniveaux est un processus complexe qui implique une variété d'acteurs opérant à différents niveaux, et qui est marqué par des relations réciproques et des mécanismes de régulation diversifiés.

1) Des entités variées à différents niveaux politiques prennent des décisions politiques.

Dans le cadre de la gouvernance multiniveaux, les décisions politiques sont prises par différentes entités qui opèrent à différents niveaux. Cela peut comprendre diverses échelles de gouvernement - locales, régionales, nationales, et internationales - ainsi que d'autres types d'organisations, comme les organisations non gouvernementales, les institutions supranationales (comme l'Union Européenne ou les Nations Unies), et même les entités du secteur privé dans certains cas.

Chaque entité a sa propre zone d'influence et de compétence, et les décisions sont souvent prises à travers un processus de négociation et de consensus entre ces différentes parties prenantes. Par exemple, une décision de politique environnementale peut nécessiter des discussions entre les gouvernements locaux, régionaux et nationaux, ainsi que des organisations environnementales et des entreprises du secteur privé.

2) Il existe des influences qui ne sont pas unilatérales, mais plutôt réciproques entre ces différents niveaux, où les développements à un certain niveau ont des impacts significatifs sur d'autres niveaux et vice versa.

Dans la gouvernance multiniveaux, il existe des influences réciproques et non unilatérales entre les différents niveaux de prise de décision. Autrement dit, ce qui se passe à un niveau peut avoir un impact significatif sur les autres niveaux, et vice versa.

Pour illustrer, prenons le cas d'une décision politique prise à l'échelle internationale, comme l'adoption d'un accord climatique mondial. Cette décision peut influencer la politique environnementale à l'échelle nationale, qui à son tour peut avoir un impact sur les politiques régionales et locales. Parallèlement, des changements à l'échelle locale, comme l'adoption de technologies d'énergie renouvelable, peuvent également avoir un impact sur les politiques nationales et potentiellement influencer les discussions internationales.

En outre, les acteurs à chaque niveau ne sont pas isolés les uns des autres, mais interagissent et communiquent constamment. Cela peut signifier que les changements à un niveau peuvent être le résultat d'influences venant de plusieurs autres niveaux. Dans cet environnement interconnecté, il est crucial pour les décideurs politiques de comprendre les dynamiques à chaque niveau et d'adopter une approche holistique de la résolution des problèmes.

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Un accord international comme le Protocole de Kyoto a des répercussions sur les États signataires qui s'engagent à respecter certaines conditions. En l'occurrence, le Protocole de Kyoto visait à réduire les émissions de gaz à effet de serre. Une fois qu'un pays, comme les États-Unis, signe et ratifie un tel accord, il s'engage à modifier ses politiques internes pour atteindre les objectifs fixés.

Cela peut impliquer de mettre en œuvre diverses mesures, comme la révision des réglementations environnementales, l'incitation à l'adoption de technologies plus propres, la création de taxes carbone ou de systèmes d'échange de quotas d'émission, etc. Ces changements peuvent avoir un impact considérable sur différents secteurs de l'économie nationale, des industries lourdes à l'énergie, en passant par les transports et l'agriculture.

C'est un exemple de la manière dont une décision prise au niveau international (l'accord sur le Protocole de Kyoto) peut influencer les politiques nationales (les États-Unis modifiant leurs politiques environnementales), ce qui est caractéristique de la gouvernance multiniveaux. Cependant, il est également important de noter que la mise en œuvre effective de ces accords dépend fortement de la volonté politique et de la capacité des États signataires à agir.

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3) Il existe des interactions mutuelles entre les différents niveaux qui comportent divers types de régulations, notamment divers types de partenariats entre les secteurs privé et public.

La gouvernance multiniveaux implique des interactions réciproques entre différents niveaux, du local à l'international. Chaque niveau peut influencer les autres, et les décisions prises à un niveau peuvent avoir des répercussions sur les autres. Cela peut se traduire par différents types de régulations, adaptées à chaque niveau. L'un des aspects de cette interaction concerne les partenariats public-privé. Ces partenariats sont des accords entre les gouvernements et les entreprises privées pour financer et gérer des projets d'intérêt public. Ils peuvent prendre diverses formes et être utilisés dans de nombreux domaines, comme l'infrastructure, l'éducation, la santé, l'environnement, etc.

Les partenariats public-privé sont un exemple de la façon dont la gouvernance multiniveaux peut fonctionner en pratique. Ils illustrent comment des acteurs de différents niveaux (les gouvernements à différents niveaux, les entreprises privées, parfois aussi des ONG ou d'autres organisations de la société civile) peuvent travailler ensemble pour atteindre des objectifs communs. Dans un monde de plus en plus interconnecté, cette approche de la gouvernance est de plus en plus nécessaire pour faire face aux défis complexes et transnationaux auxquels nous sommes confrontés, comme le changement climatique, la pauvreté et les inégalités, les migrations, la sécurité mondiale, etc.

La gouvernance multiniveaux permet d'envisager un éventail de régulations allant de la régulation purement publique à la régulation purement privée. Cela se traduit par une diversité de types de partenariats public-privé, à savoir :

  • Régulation publique : Dans ce scénario, le gouvernement ou une institution publique prend l'initiative de réguler un secteur ou une industrie. Cela peut se faire par le biais de lois, de réglementations ou de directives. Par exemple, l'État peut décider de réguler les émissions de carbone des industries pour protéger l'environnement.
  • Régulation mixte : C'est un modèle hybride où le public et le privé partagent la responsabilité de la régulation. Un exemple de ce type de partenariat pourrait être la mise en place d'un cadre réglementaire par le gouvernement pour une industrie donnée, mais avec des entreprises qui auto-régulent certains aspects dans le cadre de ce système (par exemple, en créant des normes industrielles).
  • Régulation privée : Dans ce scénario, ce sont les acteurs privés qui prennent l'initiative de réguler. Cela peut être le cas dans certaines industries où les entreprises établissent leurs propres normes et régulations, souvent par le biais de groupes ou d'associations industrielles. Par exemple, l'industrie du logiciel a développé des normes de codage et de sécurité qui sont largement respectées par les entreprises du secteur.

Il est important de noter que la plupart des régulations modernes ne tombent pas strictement dans l'une ou l'autre de ces catégories, mais se situent quelque part entre les deux. La combinaison spécifique de régulation publique et privée peut varier en fonction du secteur, du pays et du contexte politique et économique spécifique.

Une législation publique qui exclurait complètement les acteurs privés sont les décisions par exemple de la FIMNA qui est l’entité en Suisse qui supervise le secteur financier a ordonnée la transmission de données bancaires sur certains clients à des banques américaines. Dans ce cas, nous avons un exemple de régulation publique où l'organe de régulation, la FINMA (Autorité fédérale de surveillance des marchés financiers) en Suisse, a pris une décision unilatérale. La FINMA a ordonné à certaines banques de transmettre des données bancaires concernant certains clients à des banques américaines. Cette décision pourrait être liée à des obligations réglementaires internationales, à des enquêtes sur des activités financières illégales ou à des efforts pour améliorer la transparence du secteur financier.

La consultation des acteurs privés dans les processus de prise de décision publique est devenue une pratique courante, et elle est considérée comme un moyen précieux d'intégrer des perspectives diverses et souvent expertes dans la formulation des politiques. Ce processus est parfois appelé "co-régulation" car il implique à la fois le gouvernement (l'autorité publique) et les entités privées (entreprises, ONG, etc.). C'est un aspect crucial de la gouvernance multiniveaux. La consultation des acteurs privés peut prendre plusieurs formes, comme des forums de discussion publics, des tables rondes, des groupes de travail et des sondages. Ces consultations permettent aux acteurs privés de donner leur avis sur les propositions de réglementation et d'offrir des solutions alternatives ou des modifications. Cette approche peut aider à créer des réglementations plus efficaces et plus équilibrées, car elle prend en compte les perspectives de ceux qui seront directement affectés par les nouvelles règles. Cependant, il est important que ce processus soit transparent et équitable pour éviter que certains groupes d'intérêts n'aient une influence disproportionnée sur la politique.

Les codes de conduite des entreprises, en particulier ceux des grandes multinationales, sont un exemple important de régulation privée. Ces codes définissent généralement les normes et les attentes de l'entreprise en matière d'éthique, de comportement et de responsabilité sociale. Par exemple, Nike, a adopté des codes de conduite pour réguler le comportement de ses fournisseurs dans les pays en développement. Ces codes peuvent inclure des directives sur le respect des droits de l'homme, des normes de travail justes et sûres, et des pratiques environnementales durables.

Cependant, l'efficacité de ces codes dépend en grande partie de la volonté et de la capacité de l'entreprise à les appliquer et à les faire respecter. Les codes de conduite privés peuvent souvent être mis en place pour améliorer l'image publique de l'entreprise, mais sans un véritable engagement et des mécanismes de contrôle efficaces, ils peuvent ne pas entraîner de changements significatifs sur le terrain. De plus, bien que les codes de conduite privés puissent combler certains vides en matière de réglementation dans les pays où les gouvernements n'ont pas la capacité ou la volonté d'appliquer les lois du travail, ils ne peuvent pas se substituer à une réglementation publique efficace. Ils devraient plutôt être considérés comme un complément à une réglementation publique solide.

Les codes de conduite des entreprises constituent un exemple majeur de régulation privée dans l'économie mondiale. Ils permettent aux entreprises d'établir des normes et des règles de conduite pour leurs opérations, et en particulier pour leurs chaînes d'approvisionnement qui s'étendent souvent sur plusieurs pays. Les codes de conduite peuvent aborder diverses questions, comme le respect des droits de l'homme, les normes de travail, la corruption, l'éthique commerciale, la protection de l'environnement, et bien d'autres. En les mettant en place, les entreprises s'engagent volontairement à respecter certaines normes, souvent au-delà de ce qui est exigé par la loi.

Cependant, ces codes de conduite privés ont aussi fait l'objet de critiques. Certains s'inquiètent du fait qu'ils sont souvent mis en œuvre sans une supervision ou une vérification indépendante suffisante. De plus, ils peuvent parfois servir d'écran de fumée pour détourner l'attention des pratiques commerciales controversées. Néanmoins, dans un monde où les entreprises opèrent de plus en plus à l'échelle mondiale, avec des chaînes d'approvisionnement qui traversent plusieurs juridictions, la régulation privée sous forme de codes de conduite joue un rôle de plus en plus important dans la gouvernance de l'économie mondiale.

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La gouvernance multiniveau est définie par l'existence d'une multitude de relations réciproques entre différents niveaux d'autorité. Le concept illustre la façon dont la prise de décision et l'action publique sont réparties entre différents niveaux de gouvernement (local, régional, national, international) et comment ces niveaux interagissent entre eux.

Dans le système de gouvernance multiniveau, les décisions ne sont pas seulement prises au sommet par un gouvernement central, mais aussi à des niveaux plus bas, par des autorités locales ou régionales, par exemple. De plus, ces niveaux de gouvernement peuvent également interagir entre eux, par exemple, à travers des mécanismes de coordination ou de coopération. Cette forme de gouvernance est de plus en plus courante dans des contextes tels que l'Union européenne, où les décisions sont prises à plusieurs niveaux : local, national et supranational. Elle peut aussi être vue dans le contexte de la gestion des ressources naturelles, où des acteurs locaux, nationaux et internationaux peuvent tous avoir un rôle à jouer.

L'une des clés de la gouvernance multiniveau est que les acteurs à tous les niveaux ont une certaine autonomie et une certaine capacité à influencer les résultats. Cela crée une complexité supplémentaire, car les différents niveaux peuvent avoir des objectifs et des priorités différents, mais cela peut aussi permettre une plus grande flexibilité et une meilleure capacité à répondre aux défis spécifiques à différents niveaux.

Ce graphique démontre l'évolution significative des organisations internationales conventionnelles, passant d'un total de 37 au début du XXème siècle à plus de 246 en 2006. De plus, il illustre l'importance croissante des acteurs transnationaux, notamment des organisations non gouvernementales, dont le nombre a connu une augmentation spectaculaire, en particulier depuis la seconde moitié du XXème siècle.

Ces chiffres illustrent l'expansion significative des organisations internationales et des organisations non gouvernementales (ONG) depuis le début du 20ème siècle. Ces organisations jouent un rôle crucial dans la gouvernance mondiale, en complétant ou en défiant parfois l'autorité des États-nations. Les organisations internationales, comme les Nations Unies, l'Organisation mondiale de la santé ou le Fonds monétaire international, sont des instances qui cherchent à réguler des questions qui transcendent les frontières nationales, comme la santé publique, les questions économiques ou la paix et la sécurité internationales. Parallèlement, le rôle des ONG s'est également développé de manière significative. Elles peuvent intervenir dans un large éventail de domaines, tels que les droits de l'homme, l'environnement, le développement, et bien d'autres. Les ONG peuvent exercer une influence significative, tant au niveau national qu'international, et elles jouent souvent un rôle de médiateur entre la société civile et les structures officielles de prise de décision.

Cette expansion des organisations internationales et des ONG reflète le développement de la gouvernance multiniveau et de la gouvernance globale, qui reconnaissent que les défis mondiaux ne peuvent être résolus par les États-nations agissant seuls. Il s'agit là d'une évolution importante de la manière dont les affaires mondiales sont gérées et régulées.

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L'importance grandissante des entreprises multinationales se fait clairement ressentir, comme le montre l'augmentation du nombre de leurs filiales principales. Dans les années 1980, on en comptait environ 700. Aujourd'hui, ce nombre est passé à plus de 80 000, témoignant de leur expansion et de leur influence croissante dans l'économie mondiale.

Il est indéniable que les entreprises multinationales jouent un rôle de plus en plus prédominant sur la scène mondiale. Elles ont une capacité accrue à influencer les politiques économiques, environnementales et sociales à travers leurs opérations internationales. Une entreprise multinationale mère possède et gère plusieurs filiales dans différents pays. Par exemple, une grande entreprise technologique basée aux États-Unis peut avoir des filiales en Europe, en Asie et en Amérique Latine. Ces filiales sont souvent établies pour profiter de ressources spécifiques ou pour se rapprocher des marchés cibles. L'augmentation du nombre de filiales mères de 700 dans les années 1980 à plus de 80 000 aujourd'hui témoigne de l'extension rapide de la mondialisation et de l'intégration économique mondiale. Cela a des implications importantes pour la gouvernance mondiale, car ces entreprises ont souvent plus de pouvoir économique que certains États et peuvent exercer une influence significative sur les politiques et régulations locales et internationales. De plus, le rôle croissant des multinationales soulève des questions sur la responsabilité sociale des entreprises et sur la façon dont elles peuvent être tenues responsables de leurs actions à l'échelle mondiale. Il met également en évidence le besoin de mécanismes de gouvernance mondiale plus efficaces pour réguler leurs activités et pour garantir qu'elles contribuent de manière positive à la société.

L'internationalisation des entreprises est un phénomène en pleine croissance, encouragé par la mondialisation et le développement des technologies de l'information et de la communication. Elle est visible à travers plusieurs aspects :

  • Création de filiales à l'étranger : De nombreuses entreprises cherchent à étendre leur présence à l'étranger en créant des filiales. Ces dernières leur permettent d'accéder à de nouveaux marchés, d'obtenir des ressources locales, et d'échapper à certaines contraintes domestiques. On a ainsi assisté à une croissance exponentielle du nombre de filiales à l'étranger depuis les années 1980.
  • Délocalisation de la production : Les entreprises cherchent à minimiser leurs coûts de production en délocalisant certaines de leurs opérations dans des pays où la main-d'œuvre est moins chère. Ce phénomène a contribué à la formation de chaînes de valeur globales, où différentes étapes de la production sont effectuées dans divers pays.
  • Collaborations et partenariats internationaux : Les entreprises se tournent de plus en plus vers des collaborations et des partenariats internationaux pour accéder à des compétences et à des technologies spécifiques, ou pour partager les risques associés à des projets coûteux ou incertains.
  • Influence sur les politiques publiques : Avec leur taille et leur poids économique croissants, les entreprises multinationales ont acquis une influence significative sur les politiques publiques, tant au niveau national qu'international. Elles peuvent par exemple faire pression pour obtenir des réglementations favorables ou pour influencer les normes commerciales internationales.

L'internationalisation des entreprises a de profondes implications pour l'économie mondiale, les sociétés, et la gouvernance globale. Elle soulève aussi des défis en matière de régulation, d'équité et de durabilité. Ainsi, la compréhension de cette dynamique et de ses conséquences est essentielle pour les décideurs politiques, les dirigeants d'entreprise, et la société en général.

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Les blocs régionaux, comme l'Union européenne, l'Association des nations de l'Asie du Sud-Est (ASEAN) ou le Mercosur en Amérique du Sud, ont transformé l'équilibre du pouvoir et la nature de la souveraineté.

Pour l'Union européenne en particulier, il est clair que la souveraineté nationale des États membres a été modifiée de manière significative dans certains domaines. En voici quelques-uns :

  • Politique commerciale : L'UE a la compétence exclusive en matière de politique commerciale, ce qui signifie qu'elle négocie et conclut des accords commerciaux au nom de tous ses États membres. Par conséquent, les États membres ont perdu une grande partie de leur pouvoir décisionnel en matière de commerce extérieur.
  • Politique monétaire : Les États membres de la zone euro ont transféré leur pouvoir en matière de politique monétaire à la Banque centrale européenne. Ils ne peuvent plus déterminer leur propre taux d'intérêt ou émettre leur propre monnaie.
  • Règles de concurrence : Les règles de l'UE en matière de concurrence ont une portée très large et peuvent affecter de nombreux aspects de l'économie d'un État membre.
  • Normes environnementales : L'UE a établi un certain nombre de normes environnementales strictes que tous les États membres doivent respecter.

Cependant, le degré d'érosion de la souveraineté nationale varie en fonction des domaines. Par exemple, en matière de défense et de politique étrangère, les États membres de l'UE conservent une grande part de leur souveraineté. De plus, l'érosion de la souveraineté dans certains domaines peut être vue comme un échange pour une plus grande influence collective et une meilleure capacité à relever les défis transnationaux.

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Sur une échelle de 1 à 5, 1 signifie que l'autorité est principalement exercée au niveau des États-nations, tandis que 5 indique une autorité pleinement déployée au niveau de l'Union européenne. Il existe une gradation progressive entre ces deux extrêmes, où une augmentation de l'échelle signifie une réduction des décisions prises au niveau national et une augmentation des décisions prises à l'échelle supranationale. 1 représente une situation dans laquelle l'autorité est principalement exercée par l'État-nation, et 5 une situation dans laquelle l'autorité est entièrement exercée par une entité supranationale, comme l'Union européenne. Les valeurs intermédiaires sur l'échelle représentent un équilibre changeant de pouvoir, avec moins de décisions prises au niveau national et plus de décisions prises au niveau supranational à mesure qu'on monte sur l'échelle. En d'autres termes, cette échelle sest un moyen de mesurer le degré de supranationalité dans la gouvernance - où un score plus élevé indique une plus grande délégation d'autorité à une entité supranationale par rapport à l'autorité nationale.

La Communauté européenne du charbon et de l'acier (CECA), créée en 1951, est considérée comme la première étape vers une intégration économique et politique européenne. Elle rassemblait six pays (Allemagne, France, Italie, Belgique, Pays-Bas et Luxembourg) et avait pour objectif de mettre en commun la gestion de la production de charbon et d'acier, deux ressources industrielles cruciales. Cette initiative était en partie une réponse aux deux guerres mondiales dévastatrices du début du 20ème siècle : en plaçant la production de ces ressources stratégiques sous une autorité commune, on cherchait à rendre une nouvelle guerre en Europe impensable et matériellement impossible. En 1957, ces mêmes pays ont signé les Traités de Rome qui ont établi la Communauté économique européenne (CEE) et l'Euratom, étendant ainsi l'intégration à d'autres domaines économiques.

Ce processus d'intégration économique a eu pour conséquence une érosion progressive de la souveraineté nationale dans ce domaine. En effet, les politiques économiques au sein de l'Union européenne sont désormais souvent définies et mises en œuvre à un niveau supranational. Cela signifie que les décisions concernant des questions importantes, telles que les normes commerciales, les politiques monétaires et fiscales, sont prises collectivement par les États membres de l'UE, plutôt que par chaque pays individuellement. C'est dans ce contexte que le concept de gouvernance multiniveaux a émergé, reflétant la complexité croissante de ces arrangements institutionnels et le partage de l'autorité entre les différents niveaux de gouvernement - local, national et supranational.

La politique sociale est un domaine qui est traditionnellement très lié à la souveraineté nationale. Dans ce domaine, les pays ont des histoires, des cultures et des systèmes différents, ce qui rend difficile la création de politiques communes à l'échelle de l'Union européenne. En Europe, la politique sociale comprend un éventail d'activités très large, allant des soins de santé à l'éducation, en passant par l'aide aux personnes âgées, la protection de l'enfance, l'aide au logement, et la régulation du marché du travail, entre autres. Ces politiques sont fortement ancrées dans les traditions nationales et sont souvent le résultat de compromis sociaux spécifiques à chaque pays.

Dans le cadre de l'Union européenne, la politique sociale est principalement du ressort des États membres. L'UE a cependant un rôle de coordination et de soutien, en encourageant la coopération entre les États membres et en fournissant des directives pour les politiques dans certains domaines, comme l'égalité des genres et la non-discrimination. En outre, l'Union européenne a mis en place des règles pour la libre circulation des travailleurs et la coordination des systèmes de sécurité sociale au sein de l'UE, mais la mise en œuvre de ces règles reste largement du ressort des États membres. C'est pour cette raison que l'intégration de la politique sociale au niveau européen est moins avancée que dans d'autres domaines, comme l'économie.

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En ce qui concerne la sécurité interne, l'Union européenne a fait des progrès considérables dans l'intégration des politiques et des pratiques. Par exemple, l'Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex) coordonne et aide les États membres dans la gestion de leurs frontières extérieures. De plus, la coopération policière (via Europol) et judiciaire (via Eurojust) est de plus en plus développée au sein de l'UE. Par contre, en ce qui concerne la sécurité externe et la défense, l'intégration est beaucoup moins avancée. La politique de défense reste largement du ressort des États membres, et il n'existe pas d'armée commune de l'UE. Il y a eu certaines initiatives pour renforcer la coopération en matière de défense, comme la Coopération Structurée Permanente (PESCO) lancée en 2017, mais ces initiatives sont encore en cours de développement et n'ont pas abouti à une intégration complète. La différence entre ces deux domaines reflète à la fois les priorités de l'UE et les limites de l'intégration européenne. Alors que l'Union a toujours été plus orientée vers la gestion des questions internes et la promotion de la coopération économique, la défense et la sécurité externe ont été des domaines où la souveraineté nationale a été plus résistante à l'intégration.

Il est vrai que dans de nombreux pays, il y a eu une tendance croissante à décentraliser certaines compétences et à accorder davantage d'autonomie aux régions. Cette décentralisation, ou dévolution de pouvoir, est souvent motivée par la volonté de rapprocher le gouvernement des citoyens, d'adapter les politiques publiques aux besoins spécifiques de certaines régions, et parfois de répondre à des revendications régionalistes ou nationalistes. L'exemple de la Catalogne en Espagne est particulièrement significatif. Depuis le rétablissement de la démocratie en Espagne à la fin des années 1970, la Catalogne a acquis une grande autonomie, avec son propre gouvernement et son propre parlement, et des compétences importantes dans des domaines comme l'éducation, la santé, et la culture. Cependant, ces dernières années, le désir de certains Catalans d'acquérir une indépendance complète a créé des tensions avec le gouvernement central espagnol. Cependant, il est important de noter que le degré de décentralisation varie grandement d'un pays à l'autre. Certains pays, comme la France, ont une tradition plus centralisée, tandis que d'autres, comme l'Allemagne ou la Belgique, sont des États fédéraux où les régions ou les États fédérés ont des compétences importantes. En résumé, la gouvernance multiniveau est de plus en plus la norme dans beaucoup de pays, avec des décisions politiques prises à plusieurs échelons - local, régional, national, et parfois supranational - et avec une interaction constante entre ces différents niveaux de gouvernement.

L'une des tâches principales de la science politique est d'analyser et de comprendre la complexité des interactions entre les différents niveaux de gouvernance. Ces interactions peuvent être de nature différente : certaines sont plus directes et clairement institutionnalisées, comme dans le cas des compétences officiellement déléguées par un gouvernement national à une autorité régionale, ou des obligations imposées par les traités internationaux. D'autres interactions sont moins formelles, mais pas moins importantes. Par exemple, les décisions prises au niveau international ou supranational peuvent influencer la politique nationale par le biais de "soft power" ou de normes sociales et culturelles. De même, les mouvements sociaux ou les tendances politiques qui émergent au niveau local peuvent finir par influencer la politique nationale, voire internationale. La science politique cherche également à comprendre comment ces interactions peuvent être affectées par divers facteurs, tels que les conditions économiques, les structures sociales, les valeurs culturelles et les idéologies politiques. L'objectif ultime de cette analyse est de fournir des informations précieuses pour la prise de décision politique et pour la conception de politiques publiques efficaces.

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La signature par la Suisse de l'accord de libre-échange avec l'Europe a conduit à une série de réactions en chaîne à différents niveaux de gouvernance. D'une part, l'accord a renforcé la coopération intercantonale en Suisse, les cantons se rendant compte qu'ils devaient travailler ensemble pour naviguer dans le nouveau paysage politique et économique créé par l'accord. Cela a également renforcé la collaboration entre le gouvernement fédéral suisse et les gouvernements cantonaux, car les accords bilatéraux ont eu des implications dans des domaines tels que la sécurité et l'éducation, qui relèvent de la compétence des cantons. D'autre part, l'accord a également renforcé les relations entre l'État fédéral suisse et les autorités européennes à Bruxelles. Les accords de libre-échange sont des instruments complexes qui nécessitent un suivi, une interprétation et une mise en œuvre réguliers, ce qui signifie que les fonctionnaires suisses et européens doivent être en contact régulier et travailler ensemble pour s'assurer que l'accord fonctionne comme prévu. Tout cela illustre comment une seule décision politique, dans ce cas la signature d'un accord de libre-échange, peut avoir des répercussions à plusieurs niveaux de gouvernance et nécessiter une coordination et une coopération accrues entre différents acteurs politiques. Cela souligne également l'importance de la gouvernance multiniveau et de l'interdépendance dans le monde moderne.

Appendici

Riferimenti

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